Gentile Ministra Bernini,
le recenti dichiarazioni con cui si è rivolta agli studenti che aspirano a intraprendere il percorso universitario in Medicina hanno suscitato sconcerto e profonda amarezza. Il tono utilizzato è apparso a molti oltraggioso e sprezzante nei confronti di quella che rappresenta, oggi più che mai, la principale risorsa del Paese: le giovani generazioni. Giovani che, non va dimenticato, sono anche coloro che sosterranno lo Stato con il proprio lavoro, il proprio impegno e i propri sacrifici.
A loro, e indirettamente a tutti i cittadini, è stato restituito il volto di un’istituzione distante, incapace di ascolto e poco consapevole delle difficoltà reali che gravano su chi tenta di costruire il proprio futuro in un contesto già profondamente segnato da disuguaglianze economiche e sociali.
La facoltà di Medicina è, per sua stessa natura, un percorso altamente selettivo. Lo è per la complessità delle discipline, per il carico di responsabilità che comporta e per l’impatto emotivo che lo studio medico richiede. È uno studio che non consente scorciatoie e che, già da solo, opera una selezione naturale basata sulla preparazione, sulla resilienza e sulla capacità di reggere uno sforzo prolungato nel tempo.
In questo quadro, la recente riforma dell’accesso non appare come una risposta strutturale ai problemi del sistema, ma come un intervento che rischia di aggravare una situazione già compromessa. Non per mancanza di studenti capaci, ma perché molte famiglie non dispongono più delle risorse economiche necessarie per sostenere un percorso di accesso sempre più costoso e spesso poco coerente con le reali finalità della formazione medica. Prima erano quiz di cultura generale e logica, già ampiamente contestati; oggi si è passati a prove incentrate su fisica, chimica e biologia, materie per le quali una parte consistente degli studenti non ha ricevuto la preparazione adeguata che era stata promessa.
I risultati ottenuti parlano chiaro: il sistema non ha funzionato. Ma il fallimento non può e non deve essere attribuito ai ragazzi. È il risultato di una narrazione che ha generato aspettative disattese e di una riforma che non ha tenuto conto delle condizioni reali in cui operano scuole, famiglie e studenti.
Per queste ragioni, appare necessario un cambio di passo. Un primo gesto, tanto semplice quanto simbolicamente rilevante, sarebbe una presa di responsabilità per il linguaggio utilizzato e per la gestione del dissenso. Le contestazioni emerse non erano atti di insubordinazione, ma l’espressione di uno stato diffuso di ansia e incertezza. Riconoscerlo significherebbe ricostruire un rapporto di fiducia tra le istituzioni e i giovani.
Ma alle parole devono seguire i fatti. Occorre intervenire tempestivamente per evitare che questo impianto normativo produca, nei prossimi cinque o sei anni, un ulteriore ritardo nell’ingresso di nuovi medici nel Servizio Sanitario Nazionale, già oggi in grave sofferenza per la carenza di personale.
Non si può dimenticare quanto questo Paese abbia celebrato il ruolo dei medici durante la pandemia, né le promesse allora rivolte a un settore che ha pagato un prezzo altissimo in termini di vite umane e di sacrificio personale. In quei mesi drammatici, mentre l’Italia era paralizzata dalla paura, i medici sono rimasti in prima linea, fedeli al giuramento di Ippocrate, spesso a costo della propria sicurezza e della propria vita.
A quella memoria dovrebbe corrispondere oggi una politica responsabile, capace di ascolto e di correzione degli errori. Chiedere scusa e porre rimedio non sarebbe un segno di debolezza, ma di autentica forza istituzionale.
Con rispetto,
Avvocata Federica Mariottino
Presidente dell’”Associazione 31Salvatutti”
con focus su Disagio giovanile e dipendenze

