
Una forma odiosa di discriminazione è la disparità salariale tra uomini e donne, il cosiddetto gender pay gap
I nostri padri costituenti sin da subito hanno cercato – invano – di combatterla con la previsione dell’art. 36 della Costituzione “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro”, in combinato disposto con l’art. 3 “senza distinzione di sesso (…)”.
Ma si è dovuto attendere il 2023 per far muovere all’Unione Europea, con la direttiva n. 970, un importante passo avanti nella promozione dell’uguaglianza di retribuzione.
Questa direttiva scardina uno dei segreti più custoditi dopo quelli di Fatima: il segreto salariale. In pratica i lavoratori e le lavoratrici di aziende sia pubbliche che private potranno sapere quanto guadagnano i colleghi e chiedere un risarcimento danni se percepiscono uno stipendio più basso a parità di mansioni.
Secondo i dati Eurostat 2021 in Europa le donne guadagnano ancora il 12,7 % in meno rispetto ai colleghi uomini, malgrado il principio della parità retributiva sia sancito dall’articolo 157 del Trattato sul Funzionamento dell’UE.
L’italia, per la verità, è tra i paesi europei con il tasso più basso di divario (il distacco tra i due sessi è del 5 per cento)
Con questa direttiva i lavoratori e i loro rappresentanti avranno il diritto di “chiedere e ricevere per iscritto informazioni sul loro livello retributivo individuale e sui livelli retributivi medi, ripartiti per sesso, delle categorie di lavoratori che svolgono lo stesso lavoro o un lavoro di pari valore”.
Il datore di lavoro deve rispondere entro due mesi e se emerge un divario retributivo la parte discriminata ha diritto al risarcimento danni che comprenda “il recupero integrale delle retribuzioni arretrate e dei relativi bonus o pagamenti in natura, il risarcimento per le opportunità perse, il danno immateriale, i danni causati da altri fattori pertinenti che possono includere la discriminazione intersezionale, nonché gli interessi di mora“.
In caso di contenzioso, si inverte l’onere della prova: sarà il datore di lavoro a dover dimostrare di non aver violato le norme europee in materia di gender pay gap e trasparenza retributiva.
Per promuovere la trasparenza salariale negli annunci di lavoro, oltre alle mansioni e ai requisiti dei candidati, verrà inserito anche lo stipendio offerto.
E sarà una novità epocale, visto che oggi, in Italia, soltanto il 4% delle offerte online esplicita la retribuzione annua lorda (RAL) e all’estero le cose non vanno meglio, se si guarda ad un’analisi a campione che vede il 6% per la Francia e un zero assoluto per la Germania.
C’è tempo fino al 7 giugno 2026 per recepire questa direttiva e dare una spallata alla discriminazione retributiva diretta e indiretta.