

Anche quest’anno è partito il circo mediatico di Sanremo. La 70 edizione, quella targata 2020 affidata al noto conduttore televisivo-musicale Amadeus. La prima serata è andata ed ha portato sul palco la musica declinata in tutte le versioni possibili. Dai cantanti, più o meno noti ma comunque definiti big, all’orchestra passando per i super ospiti.
Il Festival delle donne
Il Festival, quest’anno dedicato alle donne, ha offerto il suo palcoscenico alle prime due collaboratrici del conduttore: Diletta Leotta e Rula Jebreal. Bionda la prima e mora la seconda. Oltre a presentare le canzoni in gara, nel momento a loro dedicato le due signore hanno proposto al pubblico dei monologhi.
Il monologo di Rula Jebreal
Profondamente toccante e sentito, quanto mai d’attualità, quello della giornalista palestinese con passaporto italiano. Facendo commuovere tutto l’Ariston, compresa la figlia in platea, ha raccontato la violenza di genere, quella perpetrata sulle donne con chiari riferimenti autobiografici. In particolare si è soffermata sulla sua drammatica infanzia trascorsa in orfanotrofio successivamente al suicidio della madre che, per sfuggire al suo aguzzino, giunse a darsi fuoco. Probabilmente troppo forte ed intenso per una serata di varietà e musica, forse non andava letto ma piuttosto recitato, ma comunque il contenuto c’era tutto ed è terminato con una giusta richiesta di libertà per tutte le donne che possano sentirsi veramente libere come la musica.
L’intervento di Diletta Leotta
Quanto al monologo della Leotta invece, ancora facciamo fatica a capire cosa volesse esprimere. Un racconto sulla bellezza, sul vantaggio palese di essere ed apparire avvenenti. Un dialogo a due fatto con la nonna 85enne della conduttrice sportiva seduta in sala, a ricordare detti antichi e profumi di crostate al mandarino. A differenza della Jebreal, Diletta è andata a memoria, ha tenuto bene il palcoscenico ma ha narrato una storia semplice e soprattutto senza finale, diciamo pure inutile, nulla che già non si sapesse. Ha confessato apertamente che il posto sopra quel palco lo ha conquistato grazie alla sua bellezza…” altrimenti col cavolo!”. A dire il vero ci aspettavamo la seconda parte del discorso, anche se banale, e che cioè nella vita oltre all’aspetto esteriore conta la professionalità, la cultura, la tenacia, l’esperienza e invece nulla, niente secondo tempo. Eppure alla bionda conduttrice di Dazn riconosciamo, oltre al fascino, anche altre doti che avrebbe potuto utilizzare e valorizzare. Nella sua posizione e da quell’autorevole palco avrebbe potuto lanciare un altro tipo di messaggio. Avrebbe potuto parlare di quanto insulsi, beceri, fastidiosi, vergognosi ed insopportabili sono i cori di matrice razzista e di discriminazione territoriale che si sentono troppo spesso allo stadio. Di quanto odio inutile è sfogato ogni domenica nelle curve e di ciò che può essere fatto per combattere tali episodi. Eppure sarebbe stato facile parlarne. Lunedì 3 febbraio, il giorno precedente la prima serata del Festival di Sanremo, allo stadio Ferraris di Genova, a circa 150 km dalla città dei fiori, è stata disputata la partita Sampdoria-Napoli nella quale i tifosi doriani si sono distinti per i cori, contro la città di Napoli ed i napoletani, inneggianti all’eruzione del Vesuvio ed alla sua lava purificatrice. Uno spunto servito su un piatto d’argento ma evidentemente non è stato colto. E’ possibile che fra gli spettatori in teatro qualcuno, la sera precedente, fosse stato al Marassi a schiarirsi la voce e non avrebbe certamente apprezzato, meglio parlare semplicemente di bellezza, così fine a sé stessa.