
Il bonus di 80 euro è attualmente all’ordine del giorno della agenda dei ministeri italiani. Se ne parla sempre più insistentemente nell’ambito del riordino del sistema di tassazione italiano. Una giungla articolata, complessa ed infinita tra detrazioni, deduzioni e bonus fiscali.
“Tecnicamente è stata una decisione sbagliata. Il bonus Renzi degli 80 euro va riassorbito” queste le recenti affermazioni del ministro Giovanni Tria sulla necessità di una riforma fiscale organica dell’intero sistema di tassazione italiano. E già si è aperta la discussione tra le forze di maggioranza della Lega e del M5S che non sempre hanno sull’argomento identità di vedute
Da qui la necessità di comprendere le possibili impostazioni che potranno essere seguite nell’elaborazione delle linee guida di questa riforma e quali potranno essere i vantaggi o gli svantaggi con riferimento ai fruitori di questi importi: i lavoratori dipendenti.
L’impegno di spesa dello Stato con riferimento a questo bonus è pari a circa 10 miliardi di euro annui. Il beneficio per il lavoratore dipendente, condizionato a soglie di reddito, può arrivare a massimo 960 euro annui.

La materia appare molto delicata se si pensa che il bonus è fruito da milioni di lavoratori e la sua eliminazione o rimodulazione che non venissero adeguatamente comprese dai beneficiari potrebbero avere importanti conseguenze politiche, atteso che la platea di riferimento è molto estesa.
Una prima ipotesi di lavoro al vaglio del governo potrebbe essere quella di abolire il bonus degli 80 euro per reperire almeno in parte le risorse necessarie a disinnescare gli aumenti iva previsti per circa 23 miliardi di euro per effetto delle oramai note clausole di salvaguardia.
Difatti, l’aumento dell’iva comporterebbe che dal 1° gennaio 2020 l’aliquota del 10% passerebbe al 13% e quella del 22% al 25%, con evidenti ripercussioni sui consumatori e sui livelli di consumo del paese.
Tale evenienza viene quotidianamente smentita dai vice-premier Di Maio e Salvini e quindi sembrerebbe, al momento, la meno probabile delle linee possibili di intervento del governo. Ovviamente nel caso di abolizione tout court degli 80 euro, per i fruitori, vi sarebbe una riduzione reale del potere di acquisto e conseguentemente della capacità di spesa.
Una seconda ipotesi di lavoro per il governo potrebbe essere quella di trasformare il bonus – credito di imposta consistente in una erogazione mensile in busta paga – in una detrazione di imposta o sconto fiscale da riconoscersi sempre mensilmente in busta paga o come rimborso in sede di dichiarazione dei redditi.
Quest’ultimo meccanismo, di calcolo e fruizione in dichiarazione dei redditi, potrebbe anche risolvere il problema delle frequenti restituzioni del bonus che, fruito direttamente in busta paga, dovesse risultare non dovuto all’esito dei calcoli sviluppati in dichiarazione dei redditi.
Chiariamo meglio il punto. Il bonus, come già abbiamo accennato in precedenza, spetta a condizione di rispettare delle soglie di reddito complessivo. Difatti l’importo del bonus, normalmente, viene calcolato ed erogato in busta paga dal datore di lavoro che solitamente non conosce il reddito complessivo del suo lavoratore o perché questi si è limitato a dichiarargli solo la spettanza delle detrazioni fiscali senza ragguagliarlo sull’ammontare lordo di tutti i redditi di sua pertinenza.
Il bonus spetta a condizione che vi sia un minimo di reddito lordo tassabile (soglia inferiore-minima di reddito € 8.174,00) o un massimo di reddito lordo tassabile (soglia massima di reddito € 24.600). Con un reddito complessivo annuo compreso tra euro 8.174,00 e euro 24.600,00 il bonus spetta per intero. Se il reddito è compreso tra 24.600,00 euro e 26.600,00 euro allora l’importo spettante sarà ridotto sino ad azzerarsi del tutto attraverso lo sviluppo di conteggi specifici.
Dal sito del MEF è possibile estrapolare i dati di restituzione degli importi prima fruiti e poi non effettivamente spettanti a seguito dell’adempimento della dichiarazione dei redditi. Per esempio, il reddito annuo era inferiore al minimo oppure per effetto della somma di più redditi percepiti nell’anno il lordo complessivo superava il tetto massimo previsto per la fruibilità. In termini numerici circa 1.800.000 contribuenti italiani nel 2018 hanno dovuto restituire in tutto o in parte il bonus fruito nell’anno 2017 perché non spettante.
Questo fenomeno è stato più volte definito il “meccanismo delle porte girevoli” che ha comportato la restituzione in uscita di quanto percepito in entrata.

In questa ottica l’eventuale abolizione sarebbe sottesa alla rimodulazione di tutte le detrazioni fiscali per potenziarne gli effetti.
La terza ipotesi plausibile di lavoro che il governo potrebbe valutare di applicare è quella consistente nell’abolizione del bonus degli 80 euro per introdurre la flat tax – tassa piatta= percentuale fissa applicabile ad un determinato reddito – che rappresenta per le attuali forze di maggioranza un impegno quotidiano e necessario, a loro parere, per rimettere, metaforicamente in moto la macchina italiana per incrementarne i livelli occupazionali oltre che i consumi individuali e quindi collettivi.
Le forze di maggioranza valutano l’impatto di diverse casistiche. Tassa al 15% per tutti già dal 1° gennaio 2020. Altre diverse ipotesi che sembrano maggiormente attuabili sono quelle che individuano un reddito non individuale ma familiare complessivo con un tetto di circa 50.000,00 – 60.000,00 euro al quale applicare una tassa percentuale fissa e ridotta. Ovviamente tutte queste ipotesi di studio sono basate su una necessaria riforma fiscale totale che di fatto porterebbe alla conseguenza della riduzione e abolizione di moltissime detrazioni e deduzioni fiscali attualmente in vigore (tra queste anche gli 80 euro di cui stiamo parlando).
Diversi sono gli studi ed analisi econometriche tese a valutare l’impatto della previsione ed applicazione della tax flat. Dette analisi comportano un giudizio tendenzialmente negativo sulla portata delle manovre possibili atteso che specialmente per quanto riguarda la tax flat quest’ultima tenderebbe a favorire maggiormente i contribuenti con redditi più elevati. In tal senso una recentissima ricerca del Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili che dimostrerebbe che a beneficiare del vantaggio di una tax flat sarebbero per l’appunto i contribuenti con i redditi più elevati.