
Debutta al Teatro Tram, venerdì 4 maggio alle ore 21.00, Jamais Vu, spettacolo di drammaturgia originale, scritto e diretto da Eduardo Di Pietro, che vede in scena, oltre allo stesso Di Pietro, Giulia Esposito, Vincenzo Liguori, Gennaro Monforte e Laura Pagliara; il lavoro teatrale, andato in scena in anteprima al Fringe del Napoli Teatro Festival Italia 2015, si avvale inoltre dei costumi di Federica Del Gaudio ed è prodotto dal Collettivo Lunazione in collaborazione con Fondazione Campania dei Festival. Jamais Vu, espressione con cui si indica il contrario del déja vu, è una specie di amnesia, che colpisce una banda di rapinatori, protagonisti della vicenda scenica.
Lo spettacolo accende i riflettori su un gruppo di rapinatori che si riunisce poche ore dopo una rocambolesca rapina alla Banca Nazionale, dove qualcosa è andato storto. Un incidente ha infatti rovinato l’azione e ora ciascun criminale denuncia una parziale amnesia: tutti hanno perduto frammenti di memoria e, soprattutto, nessuno ricorda dove siano finiti i soldi della refurtiva. Protagonisti della vicenda surreale e drammatica sono: una ricercatrice in rovina, un imprenditore fallito, un ex operaio e sua moglie. Sono questi gli inadeguati autori del gesto, vittime travolte dalla fatalità, o forse carnefici, deliberatamente bugiardi, che hanno l’obiettivo di strappare al vivere un po’ di sollievo. Con questo pretesto, situazioni tipiche della narrativa e dell’intrattenimento si incrociano, generando un crescendo vorticoso di paradossi, che intrecciano immaginazione e ricordi. In Jamais Vu questo scarto è incastonato all’interno di un luogo sprangato, un covo in cui trattenersi è pericoloso, vista la caccia all’uomo avviata dalle forze dell’ordine. Così assurda si dimostra la ricerca dei ricordi e quella delle cause che hanno determinato le azioni criminali di ognuno dei personaggi e del denaro rubato.
A proposito del suo lavoro teatrale, l’autore e regista Eduardo Di Pietro spiega: «L’irreale è presente e influenza, muta e determina le nostre esistenze in misura maggiore di ciò che solitamente pensiamo. Anche il nostro passato si comporta allo stesso modo: ci orientiamo giorno per giorno sovrapponendo sogno e memoria, ciò che si è stati (ricordiamo di essere stati) e ciò che ci piacerebbe divenire. Ci ritroviamo all’interno di questo scarto e abbozziamo, o meglio improvvisiamo la vita. Il nodo è forse nella dimenticanza attraverso cui avanziamo: tralasciando zavorre, come il senso pratico e il realismo, possiamo tentare di costruire ciò che in fondo sappiamo essere una qualsiasi utopia. E, in fin dei conti, provare a essere felici è l’utopia più grande di tutte».