

“Ecco il mio segreto. È molto semplice: non si vede bene che col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi”– così scriveva Antoine de Saint- Exupéry, ne “Il piccolo principe”, denudando così quel senso profondo che, troppo spesso in una società che mira più all’apparire che all’essere, dimentichiamo di dare alla vita, all’amore e all’amicizia.
Quasi nessun opera finora riesce in modo così nitido e trasparente a mettere a fuoco quella stranezza, tipica dei “grandi”, vista attraverso gli occhi di un bambino, ingenuo e quasi inesperto, forse troppo poco impreparato e innocente per affacciarsi a quel mondo degli adulti, a volte malvagio e cattivo; e non è un caso che, tra le righe, si legge che “ i grandi non capiscono mai niente da soli, e i bambini si stancano a dover spiegargli tutto”, più di quanto lo faccia lo scrittore francese.
Ebbene sì, il suo è un inno alla vita, alla purezza di cuore, alla nobiltà d’animo e pochi riescono ancora oggi a scorgerne quelle angolature, risultanti ancora troppo spigolose; tanto che per smussarne quegli angoli ce ne vuole di fatica e, non c’è da meravigliarsi, se ad un bambino verrebbe decisamente più spontaneo, “vedere e sentire attraverso gli occhi del cuore”; questo come tanti altri è un dato di fatto. Eh si, non si può nascondere l’evidenza; viviamo in un mondo, sovrastato da pregiudizi, da barriere più che architettoniche, le quali sarebbero più semplici da abbattere, da limiti mentali o meglio culturali. A denunciare episodi di una mentalità fin troppo bigotta, sono le voci di un cospicuo numero di disabili impegnati nel sociale.
Tanto per fare un esempio: quante volte abbiamo visto e sentito parlare Ileana Argentin, deputata del Pd, a proposito del pregiudizio comune nei confronti dei più deboli, o usando un termine più corretto dei “disabili”? Ebbene si, essere disabili non significa essere asessuati, essere incapaci di amare e colpevoli per aver commesso un reato da non ricevere amore, affetto o quant’altro. Sembra che esistano persone di prima classe e di seconda classe, e i disabili appartengano a quella classe più discriminata, costituita da “bambini ” eterni; questo sì che è un problema; un problema serio . Quanti ancora oggi, restano sconcertati se una disabile ha una relazione con un normodotato e viceversa? Se una disabile, lavora, è sposato, ha figli e conduce una vita piuttosto normale?
Ecco, come dice la Argentin, questo è un problema di cultura . Quella cultura che tutti dovremmo possedere per riempire quei buchi che travalicano gli abissi del cuore, facendo affiorare quella pochezza d’animo; perciò questa cultura “folle” dovrebbe scomparire. Anzi deve scomparire. E molto in fretta. Poiché tutti abbiamo il diritto di essere felici. L’amore ha bisogno di un cuore buono; non di gambe perfette. Tutti possiamo amare in quanto l’imperfezione rende speciali, proprio tutti. Soprattutto i disabili. L’uomo è andato sulla Luna, ma non ha ancora imparato il linguaggio del cuore. Quello che rende tutti unici e incredibilmente “perfetti” . Anche se, rasentare la perfezione è quasi impossibile, e come scriveva la Fallaci – “…se dovessimo cercare la perfezione in un uomo, si amerebbero i santi. I santi son morti e io non vado a letto col calendario”.