
Il regista Pippo Delbono è tornato al teatro Bellini con lo spettacolo Orchidee,in scena fino al 29 marzo . La prima di martedì 24 marzo è stata un grande debutto napoletano, tra gli applausi soddisfatti da parte di chi già conosceva le opere di Delbono e gli sguardi attoniti ed estasiati di chi assisteva ad una sua produzione per la prima volta. Non c’è che dire, è stato un vero successo: uno spettacolo che penetra l’animo dello spettatore e che dopo la sua fine non si conclude, anzi, al contrario, rimane aperto , così come lo sono gli scenari della vita. E’ lo stesso Delbono, infatti, a sottolineare la sua volontà di far durare il suo spettacolo più a lungo della solita pièce, con una durata di 1h e 55min senza intervallo.
Uno spettacolo che non è solo teatrale, che fonde poesia, musica e arte, dove a fare da filo conduttore è l’amore quale tema universale. Un amore forte, intenso, a tratti surreale, che spazia da Shakespeare al dolore per il lutto materno del regista. E’ questo il senso di questo sentimento così profondo, che si sposa col dolore e lascia un senso di vuoto nell’animo. Il nostro vuoto, così come quello che prova lo stesso Delbono, è una mancanza che alberga nell’uomo contemporaneo, senza certezze e con la sensazione costante della perdita. Una perdita di fede, di valori, di sentimenti, che ci consegna al vuoto dell’esistenza di “Gente di plastica”, che ha finito per vivere con le sembianze di un manichino, solo nella sua apparenza.
“Noi siamo animali molto soli”, questa ed altre celebri citazioni letterarie accompagnano tutta la rappresentazione, che fin dall’inizio mira a decostruire la dinamica di svolgimento del tipico spettacolo teatrale. E’ una provocazione continua quella che il regista, con la sua voce proveniente dalle retrovie, a tratti affannata, a tratti incalzante, a volte quasi rotta dal dolore, rivolge al pubblico degli abbonati, così apostrofati per sottolinearne la passività difronte agli spettacoli, che vedono senza viverli. Un pubblico distratto, dunque, al quale sono finanche offerti dei pasticcini durante la visione, fruita, o meglio, consumata, come si trattasse di una comune merce. E’ questo il vuoto che c’è nella cultura, quel vuoto che vive l’artista perduto, un vuoto che sa di menzogna, di rappresentazione falsata ed ipocrita. Lo stesso senso di vuoto lasciato dalle Orchidee, fiori malvagi e ingannatori, perché il loro osservatore è incapace di riconoscere quello vero da quello finto. Un altro vuoto e un altro abbandono, quindi, con la sensazione di essere soli e impotenti difronte allo scorrere del tempo.
E allora lo spettacolo cerca di fissare proprio il tempo, contrapponendo al suo moto perpetuo e inarrestabile un bisogno vitale che permette di continuare ad esistere, riempiendo quei vuoti con la scrittura, la poesia, il cinema, l’opera d’arte autentica, ma soprattutto con l’amore. Fondendo queste varie arti, lo spettacolo di Pippo Delbono ci proietta proprio in un tempo senza tempo, tenendoci sospesi in un continuum di sentimenti contrastanti, così estremi che si tramutano facilmente nel loro opposto.
Uno spettacolo che cattura, nonostante le occasioni di distrazione offerte dagli attori stessi, che strizza l’occhio anche a musicisti come Enzo Avitabile e i Deep Purple, che con le loro note accompagnano alcune delle più riuscite performances del regista stesso. Una rappresentazione che, dopotutto, risulta impossibile da spiegare a parole, così densa e profonda, che solo attraverso la sua visione fa provare quelle sensazioni così forti che non hanno voce.