
Un big manager fatto fuori in questo modo non si era ancora visto dalle parti del capitalismo italiano. Luca Cordero marchese di Montezemolo, presidente di lungo corso della Ferrari, messo pubblicamente alla porta dal capo totalitario della FIAT e quindi anche della Ferrari, Sergio Marchionne. La guerra evidentemente già rombava dentro le officine da qualche tempo, ma solo martedì scorso, nel meglio del prestigioso forum Ambrosetti in quel di Cernobbio, Sergio il duro ha annunciato urbi et orbi la gentile defenestrazione di Luca Cordero, manager d’azienda con tanti incarichi nella sua vita professionale quanti solo chi ha qualche indiscutibile talento e molti (indiscutibili) santi in paradiso può collezionare. Tocca notarlo, fra lo sgradevole Marchionne e il cortese Luca Cordero passa la distanza che passa fra l’emigrante di successo e il nobile di successo, fra chi ha dovuto sempre portare risultati per mettere il proprio sedere sulle poltrone di comando e chi invece ha dovuto solo presentare la carta di identità per sedersi su quelle principesche comodità.
Fra chi ha dovuto incattivirsi per riuscire nel duro lavoro del gerarca d’azienda e chi ha potuto conservare la raffinatezza di nascita per affermarsi nel bel mondo del grande capitale. Quel “nessuno è indispensabile” pronunciato senza inflessioni canadesi da Marchionne in contemporanea al gran premio di Monza, ad anticipare polemicamente l’ennesimo insuccesso stagionale delle rosse nonché l’ennesimo successo della Mercedes, era sì una sfuriata padronale (padrone si considera Marchionne di FIAT), ma era anche una rivendicazione di democratica meritocrazia da parte del self made man Sergio, antisindacale per contratto e premiante/punitivo per occorrenze di vita e per formazione. Marchionne è un animale plebeo della direzione d’azienda, in quanto tale instancabile e inflessibile; Montezemolo è un cultore aristocratico della stessa materia, in quanto tale umano e tollerante. La convivenza fra due modelli manageriali così diversi, seppur appartenenti ormai alla stessa elite dell’elite socio-economica terracquea, probabilmente già è andata avanti per troppo tempo, dieci anni, e sparare sulla Ferrari che non vince in Formula1 da sei anni deve essere stato un esercizio terribilmente facile e naturale per il gran capo della baracca, da un decennio armato di carta bianca dai padroni della baracca in crisi di fatturato. Si dice che l’antisindacale Marchionne, nominato pure Cavaliere del Lavoro dall’ex comunista Giorgio Napolitano, abbia salvato gli eredi degli Agnelli da fine ingloriosa, mentre si dice che Montezemolo, pure lui Cavaliere del Lavoro dal 1998, stesse portando il gruppo Ferrari sempre più lontano da quello FIAT, così infrociando la strategia del suo unico superiore, sempre più fautore dell’integrazione dei marchi per conquistare i complicati mercati americani.
Si dice pure che Luca Cordero abbia fatto buon viso a cattivo gioco, bene interpretando a favore di telecamere la parte dello scolaretto in cravatta conciliante al fianco del preside della scuola in maglione, perché con una buonuscita da 27 milioni di euro è meglio non fare tanto i permalosi, e magari perché già avrebbe la strada libera per entrare in Alitalia dalla porta principale (endorsement subito arrivato da Ghizzoni di Unicredit). Nessun (apparente) rancore quindi, verso Marchionne e pure verso John Elkann, il nipote di famiglia Agnelli che Luca Cordero considera (considerava?) anche suo nipote e che, di solito loquace in tutto quello che non riguarda strettamente la FIAT, stavolta ha preferito il silenzio (molto simile all’assenso) alla pronuncia del suo capo-ditta. Alla presidenza della Ferrari al posto di Luca Cordero, sommerso di saluti e di messaggi dai mattatori antichi e moderni dei motori (il più simpatico quello di Valentino Rossi: “Mi dispiace, pensavo che nessuno al mondo potesse decidere di cambiare Montezemolo”), ci sarà lo stesso Marchionne, novello ferrarista e già carico di ottimismo più simile a spacconeria (“Vincere in pista non è qualcosa di negoziabile e non ho alcun dubbio che riusciremo a farlo”).
Come poi il Marchionne “pluripotente” possa diventare anche “pluripresente” per svolgere tutti insieme i cinque ruoli di gran presidente che detiene (FIAT spa, Chrysler Group LLC, CNH Industrial N.V., consiglio di amministrazione di ACEA, Ferrari spa), noi infedeli non riusciamo a profetizzarlo. A similar dilemma posto dalla stampa, l’aspirante onnipresente ha risposto che dei fattacci della Ferrari se ne occuperanno sostanzialmente Felisa e Mattiacci (rispettivamente amministratore delegato e capo squadra), quindi come dire che il ruolo e lo stipendio di Montezemolo erano sostanzialmente superflui… Luca Cordero di Montezemolo lascia obtorto collo la Ferrari dopo ventitré anni, ultimo pupillo ancora in servizio di Gianni Agnelli, che nel 1991 lo fece presidente del gioiello di famiglia per verificare, così disse l’avvocato, se il figlio di Massimo Cordero (dei marchesi di Montezemolo, da sempre fedeli alla causa piemontese) era diventato uomo. In realtà Luca Cordero era entrato nel microcosmo di Maranello già nel 1973, appassionato di velocità e pilota dilettante coccolato da Enzo Ferrari. Donne e motori, l’abbinamento fra maschili ossessioni si attaglia bene al way of life del giovane Luca, ad oggi sposato due volte e padre di cinque figli. La discreta collezione privata di fidanzate giovanili di Luca è impreziosita da Edwige Fenech, quella d’annata, e sul punto pure Marchionne può solo invidiare…Dopo vari incarichi qua e là ottimamente retribuiti, Luca quarantenne rampante viene nominato direttore generale del comitato organizzatore di “Italia ‘90”, il mondiale di calcio trasformato in grande bottino.
Luca ne esce pulito, e mai nessun togato gli chiederà conto di quella masnada di ladri e di complici che era il suo comitato. Comunque l’ambiente calcistico truffaldino deve piacergli una cifra, così Luca ripara alla Juventus…Fino al nuovo ingresso in Ferrari, dove la sua fortuna si chiama Jean Todt, meccanico francese di Peugeot Talbot e controfigura di Alvaro Vitali che, riccamente ingaggiato (la Fenech avrà avuto un ruolo decisivo nella trattativa…), porta le monoposto rosse a vincere e a trionfare addirittura. Luca Cordero, che fesso non è, capisce che Alvaro può essere la sua gallina dalle uova d’oro e lo lascia fare, riservandosi in cambio la paternità aziendale dei successi di Alvaro meccanico (ma dal 2004 pure ingegnere honoris causa) e di Michele Schumacher grande pilota. Utilizza quelle vittorie per farsi una fama di “vincente”, riconosciuta nientepopodimenoche dal Financial Times, oltre che per tentare, sempre fra gran clamori mediatici e ansiosi battimano giornalistici, tante nuove avventure, poche andate bene, quasi nessuna, fra cui la politica eurodipendente di Mario Monti. Di “Italia Futura”, think tank liberal-incomprensibile di un gruppetto di amici di penna cacasenni, gli elettori italiani hanno deciso di fare a meno, proprio come Marchionne del suo più illustre sottoposto…