
Ricordate il gran casino rappresentato dai deputati grillini in occasione del voto parlamentare sul decreto
IMU-Bankitalia? Gli alfieri di
Grillo e
Casaleggio che organizzano l’ostruzionismo parlamentare a oltranza e la presidente della Camera
Boldrini che ricorre alla “ghigliottina”? Per gli ignari di giacobinismo applicato alle prassi parlamentari, la cosiddetta ghigliottina è una norma/escamotage introdotta da
Luciano Violante nella XIII legislatura per aggirare (e mozzare appunto) gli ostruzionismi clamorosi, comunque mai utilizzata fino al recente ricorso della
Boldrini. Dopo l’approvazione picaresca (e secondo qualcuno pilatesca) di quel decreto sulla via della decadenza per sopravvenuto termine di scadenza, il plotone grillino si scatena e tutto finisce in rissa verbale (e a tratti pecoreccia) diffusa nelle stanze della democrazia, pure con qualche accenno di rissa fisica. Non volendo prendere le parti di nessuna delle fazioni in rissa, pur non nascondendo una certa preferenza per le ragioni politiche degli incacchiati grillini e del loro ostruzionismo (non condividendone l’inutile gazzarra scatenata nelle ore successive), cerchiamo di fare chiarezza sui contenuti di quel (ennesimo)
decreto salva-banche.[divider]
Premessa: le banche sanguisuga, comunque la si pensi sulle origini delle loro abitudini, sono indispensabili in un’economia liberista e di mercato. Ancora di più in un’economia iperliberista di (iper)mercato. Quindi, se si è liberisti e mercatisti, si è a favore delle banche sanguisuga. L’assioma è semplicistico ma tutto sommato realistico.

Veniamo a noi allora. La
Banca d’Italia, come istituto di diritto pubblico, nacque nel 1936 grazie alla “
Legge Bancaria”, che ne riformò le funzioni e ne espropriò le azioni private. Un altro regio decreto del 1926 le aveva già assegnato il monopolio sull’emissione della moneta, così estromettendo dalla funzione
Banco di Napoli e Banco di Sicilia (neo borbonici scatenatevi!). Il capitale della banca venne fissato in
trecento milioni di lire e suddiviso in trecentomila quote da mille lire ciascuna, forse per evitare la formazione di pericolose concentrazioni di azioni e di potere (altri tempi!). Gli azionisti privati come detto vennero espropriati delle loro quote, che furono assegnate a enti finanziari di rilevanza o proprietà pubblica (assicurazioni, istituti previdenziali, banche e casse di risparmio). Va da sé che questi enti finanziari azionisti della banca centrale, nel corso degli ultimi anni, sono stati tutti privatizzati, portando quindi la banca in mani sostanzialmente private. Attualmente l’unico azionista (ancora) pubblico è l’
INPS, ultimo avamposto del solidarismo statale (lasciando perdere l’incaricomane
Mastrapasqua), che comunque detiene non più del 5%. Con l’introduzione dell’euro questo (ormai mini) capitale è stato convertito in
156.000 euro. Capitale che, fino all’approvazione del decreto che stiamo cercando di analizzare, non era mai stato incrementato. E su questo aspetto necessariamente torneremo. La
Corte Suprema di Cassazione nel 2006 ha ribadito il carattere pubblico della banca, escludendo dalle possibilità “
le società per azioni di diritto privato” e richiamandosi espressamente alla Legge Bancaria del 1936. Insomma la solita corte, baluardo eminente della legge fatta ma zimbello impotente dell’inganno trovato. Quindi, come ogni ente pubblico che si rispetti, la banca persegue (o dovrebbe perseguire) fini di pubblica utilità e non è soggetta a fallimento, anzi, tramite il suo intervento può impedire il fallimento delle banche private per garantire la stabilità dell’intero sistema bancario nazionale. Ed eccoci all’alibi pratico e morale del “
governo di servizio” di
Letta e compari. Embè, proprio un bel servizio…Ci spieghiamo.[divider]

Le banche italiane (o almeno alcune di esse) sono titolari di una serie impressionante di crediti inesigibili, elargiti a imprenditori (soprattutto “
grandi” imprenditori, mica i crediti ai piccoli imprenditori o quelli ai privati disgraziati, sempre esigibilissimi) ora e per sempre impossibilitati a restituire. Allora cosa ha pensato di fare la nostra sempre più amata classe politica a rimorchio (e a servizio, adesso si) della sovrastruttura bancario/finanziaria? Si è scervellata per inventare questo decreto; in questa legge lo
Stato italiano (?) garantisce alle banche non l’effettiva esigibilità dei crediti bensì, attraverso un sistema apparentemente complicato e adatto solo al comprendonio degli esperti, maggiori guadagni provenienti da dividendi azionari decisamente più lauti per effetto dell’aumento di capitale della
banca centrale. E infatti, la legge approvata in zona Cesarini il 29 gennaio scorso aumenta il capitale della banca centrale italiana, o meglio, autorizza la banca centrale ad aumentare (ragazzi, sono liberali…) il proprio capitale a
7,5 miliardi (!) di euro. Il governatore della banca,
Ignazio Visco, nel frattempo aveva provveduto ad apportare le necessarie modifiche statutarie per accondiscendere all’autorizzazione del governo. L’aumento di capitale dovrebbe dipendere (condizionale di prammatica) direttamente dall’aumento di valore delle azioni esistenti, quindi nessun reale esborso di denaro per gli azionisti.
Un’azione passa da 0,56 euro a 25 euro! Neanche un pantano che diventa terreno edificabile…Ma non esageriamo con le malignità, il decreto prevede anche che gli azionisti non possano detenere più del
3% delle quote.[divider]

Quindi
Intesa San Paolo e Unicredit per esempio,
i maggiori azionisti al 30% e 22%, dovranno vendere fino ad arrivare alla quota morigerata del 3%. Considerando tutti gli istituti finanziari che detengono più del 3%,
il 56% del totale dovrà essere venduto. La vendita però, con il prezzo della singola azione a
25 euro, favorirà
enormi plusvalenze per tali istituti. Ma a chi potranno vendere i titoli i simpatici azionisti? La legge non lascia nulla al caso, e stabilisce anche i possibili acquirenti, cioè banche, assicurazioni, fondazioni, istituti di previdenza e di assicurazione compresi i nuovi fondi pensione istituiti negli ultimi anni (che magari dovranno progressivamente sostituirsi all’
INPS). Solo enti italiani ma forse (in attesa di verifica di compatibilità con la disciplina comunitaria) anche non italiani. Tutti soggetti che, a ulteriore garanzia di sicura speculazione, pagheranno di tasse un’aliquota agevolata fissata al
12%. Di più, non ancora sufficientemente protette, la banche e simili, nel caso in cui non riuscissero a vendere le loro azioni, sarebbero
aiutate dallo Stato, automaticamente (ri)acquirente delle azioni (al prezzo esagerato, ça va sans dire) a spese sue,
cioè nostre. E vogliamo cercare di capire (siamo pur sempre profani) come saranno i nuovi dividendi? Le regole precedenti stabilivano che la
Banca d’Italia non poteva distribuire utili superiori
al 10% del capitale sociale (una cifra irrisoria considerato il capitale totale di 156.000 euro). In verità era prevista una quota straordinaria (decisa discrezionalmente dal “
consiglio superiore” della banca) legata ai frutti dell’investimento delle riserve, e comunque non superiore
al 4% delle stesse, che proporzionava la vera fetta degli invitati alla torta negli ultimi decenni. Secondo calcoli complicati ma mai smentiti, negli ultimi quattordici anni l’importo distribuito (nel 2012 circa
70 milioni di euro) si è sempre collocato su valori di gran lunga inferiori al limite massimo del 4% delle riserve, più o meno sullo
0,5%. Il nuovo (liberalissimo) regolamento invece non fa più alcun riferimento a quote straordinarie, e addirittura abbassa
al 6% del capitale “sociale” (nel senso di socializzazione delle perdite) la quota di utili distribuibili annualmente sotto forma di dividendi. Epperò ora il capitale diventa di
7,5 miliardi di euro,
il 6% quindi equivale a circa 450 milioni di euro all’anno, il calcolo lo sappiamo fare pure noi. E qualcuno forse ritiene che alla soglia massima del 6% non si arriverà?…Non c’è che dire, un bel regalo agli azionisti privati (nel senso di privatizzazione dei profitti) della nuova Banca d’Italia. E una bella fregatura per i cittadini italiani. O no?[divider]

Ma cosa cavolo c’entrava l’
IMU nel decreto del contendere? Probabilmente era messo lì per sensibilizzare l’opinione pubblica sull’urgenza popolare di approvazione del decreto, e forse anche a monito delle forze politiche per fare intendere che, senza i soldi immediati entranti nelle casse dell’erario con la vendita iniziale delle azioni della banca (fu pubblica), prima dell’inevitabile e successivo salasso dello Stato,
la seconda rata dell’IMU non poteva proprio cancellarsi. La solita lunga visione…
Sempre in proposito, nei giorni successivi all’approvazione del decreto, evidentemente non ancora adeguato a certificare la sopravvivenza delle banche, è comparsa sul Financial Times la notizia di Intesa San Paolo allo studio per la creazione di una “
bad bank” interna, forse sul modello di quella già utilizzata dall’allora
San Paolo IMI (prima della fusione con Banca Intesa) per ripulire il neo incorporato a prezzo di saldo
Banco di Napoli, o forse solo per andare incontro alla nuova “
leverage ratio” del comitato di Basilea, un simpatico simposio di “
regolamentatori” delle banche europee sempre più spinto verso l’investimento in derivati e sempre meno verso il prestito a famiglie e imprese. Lo stesso governatore
Visco, in un discorso tenuto all’associazione dei cambisti italiani, da non confondersi con quella più nota degli scambisti italiani, premettendo che il decreto del governo potrebbe non bastare a salvaguardare la serenità delle banche italiane (signor governatore, vuole anche un pezzo di culo?!), ha fatto aleggiare sulla platea l’ipotesi di una “
bad bank” di sistema. Ma qui entriamo nella fantafinanza…Forse.