


Qualche dozzina di secoli più tardi, a paganesimo ormai ingloriosamente finito e cristianesimo ormai gloriosamente trionfante, quando la nuova destinazione d’uso imposta al monte da fra’ Guglielmo da Vercelli era già la chiesa dedicata alla madonna, una nuova leggenda, stranamente in sintonia con le passate usanze del luogo, cominciava a narrare di un miracolo compiuto dalla vergine del monte, nell’anno 1256 o giù di lì. L’occasione miracolosa fu offerta da due giovani(ssimi) ragazzetti che, in seguito allo scandalo provocato dalla loro relazione “morbosa”, vennero legati a un albero dall’autorità e abbandonati a morire sulla montagna di stenti e di prime colazioni di lupi stagionati. Probabilmente si trattava di tipica omosessualità adolescenziale o transitoria, ma gli spicci servizi sociali minorili dell’epoca neanche fecero l’ipotesi. Mamma schiavona evidentemente sì, e intervenne a slegare i ragazzi e con loro la corda della persecuzione. Quale fine abbiano fatto i due ragazzi dopo essere stati liberati non si sa con certezza, ma una fonte accreditata dal movimento LGBT parla di un loro matrimonio segreto, celebrato dinanzi al cappellano militare del ghibellino Manfredi di Sicilia in armi a Benevento. Ad ogni modo, l’eco del miracolo si diffuse in tutta la zona fino al mare di Napoli, e facilmente interpretato come un messaggio di tolleranza sociale; da allora i femminielli di Napoli e (cospicui) dintorni diventarono devotissimi di mamma schiavona che non a caso “tutto permette e tutto perdona”.[divider]
Nell’attuale e secolarizzato 2 febbraio di Montevergine si mescolano tante cose più o meno collegate: riti pagani, riti cattolici, barlumi di carnevale, canti popolari e quel poco che rimane di situazionismo di sinistra (rifondaiola e simili), fino a deificare una candelora di rivendicazione politico/sociale e di sue militanti baldorie, che sinceramente poco hanno a che fare con le candele e tanto con gli smart-phone scatta istantanee. Sulla montagna nebbiosa oggi salgono tutti gli epigoni dell’orgoglio non etero, sicuramente anche chi in chiesa prima e dopo l’evento non ci mette piede neanche per sbaglio. Epperò non ci salgono a piedi o a dorso di mulo, come tradizione vorrebbe, ma trasportati da automobili e pulmini ansimanti. Qualcuno ansima di brutto anche sull’ultima rampa (necessariamente) a piedi e in salita, e fra un’imprecazione e l’altra ha anche la trovata geniale di accendersi una sigaretta. C’è poco da fare, al mare ci si abitua in fretta, ma la montagna è solo per i montanari.

Famosa, nonché controproducente per l’immagine pubblica della chiesa romana più conservatrice, la dura presa di posizione dell’allora abate Tarcisio Nazzaro nel 2002, in quella che è passata alle cronache locali come “la cacciata dal tempio dei femminielli”. Lo stesso abate, “capo” del monastero, uscì in solitario sul sagrato ad affrontare e bloccare fisicamente il gruppo di diversamente devoti, non ancora traboccante come oggi ma comunque nutrito. C’è poco da contestare, l’abate Nazzaro era uno che se ne fregava della comunicazione e che non le mandava certo a dire. Poi è invecchiato e le sua calante forma fisica evidentemente non gli ha più consentito di divertirsi in scontri e risse, così ha cominciato a rivolgersi alle forze dell’ordine. Come nel 2010, quando la processione dei femminielli (già abbondantemente arricchita da curiosi, politicanti locali, no-global e neo-tarantellari) venne fermata da poliziotti solerti dalle parti di Ospedaletto d’Alpinolo, identificata e poi lasciata passare con ragionato ritardo. Dopo quell’episodio, anche per non finire ogni volta sui giornali, i monaci benedettini di Montevergine hanno cominciato ad accogliere la congrega vociante con indifferente tolleranza. Basta anatemi e contumelie, come a dire noi vi facciamo esibire nella vostra rivolta in terzine e voi non ci tirate dentro nelle vostre rivendicazioni. Intanto anche l’abate è cambiato, e oggi le redini del monastero sono nelle mani più diplomatiche di padre Umberto Beda Paluzzi, già studioso dell’archivio segreto del vaticano…
Nella domenica passata il rito si è ripetuto, partecipato come mai. Forse troppo partecipato, secondo qualche purista addirittura inflazionato. Di questa idea probabilmente sarebbe stato anche Pier Paolo Pasolini che, nel 1960, venne a Montevergine per registrare le voci della candelora e farne colonna sonora del suo “Decameron”. Prima di lui anche Zavattini e De Sica vollero assistere da vicino ad una poetica candelora del dopoguerra, stavano lavorando a “L’oro di Napoli”…
Nell’edizione (il termine è appropriato) 2014, in tremila (trenta secondo i dati della questura…) nel primo pomeriggio sono saliti al santuario, sotto la pioggia fredda battente sui piumini vintage, in perfetto stile festa popolar/mondana. Una mondanità alternativa, di sinistra sinistrata, ma pur sempre mondanità. E pure una paganizzazione (nel senso di Pagani, la cittadina dell’agro nocerino) del rito, una madonna schiavona insolentemente ridotta a “pavanese” madonna delle galline.[divider]

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