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Quante volte ci è capitato di ricordare una parola soltanto nella sua versione inglese, perché il linguaggio parlato oramai ne è talmente contaminato che utilizziamo soltanto quella variante?
Quanti termini o espressioni inglesi che utilizziamo non sapremmo tradurre non per scarsa conoscenza linguistica, ma semplicemente per disabitudine?
Ne parla Annamaria Testa in questo articolo, elencando 300 parole (ma la lista potrebbe continuare per molto) che potrebbero essere tradotte in italiano e che però vengono spesso pronunciate o scritte in inglese. Per pigrizia? Per abitudine? Semplicemente perché è di moda? Chissà…
Un esempio è abstract, che potremmo tradurre con “riassunto” o “sintesi”. Si potrebbe obiettare, come è stato fatto nei commenti all’articolo, che nel linguaggio accademico abstract ha una valenza diversa, che non corrisponde precisamente al nostro “riassunto”.
Lo stesso si potrebbe dire per review o per workshop. Ma “tradurre è tradire”, si sa: le lingue possono offrire varianti di uno stesso concetto, ma queste non saranno mai identiche, perché caratterizzate dal contesto storico- culturale della loro lingua. Eppure i francesi, decisamente più ostili ai forestierismi rispetto a noi italiani, traducono abstract con “resumé” e paper con “article”.
L’autrice dell’articolo, lungi dal voler condurre una sterile lotta contro la lingua inglese, ci mette però in guardia: di certo sarebbe esagerato dire che la lingua italiana sta scomparendo, ma determinate espressioni sono sempre più frequenti in inglese. Questo fenomeno si accentua nel momento in cui un madrelingua italiano torna nel suo paese dopo un lungo periodo di permanenza all’estero: si sentono spesso frasi come “ecco l’outfit più cool secondo i top trend”, che come sottolinea la Testa in un commento, è un discorso “talmente pieno di parole inglesi che se togli quelle non resta niente”.
Quanti tra i termini di lingua inglese che utilizziamo nel linguaggio quotidiano sono veramente “necessari”? Quanti invece non lo sono e vengono utilizzati senza nemmeno comprendere la loro valenza o il loro contesto?
A volte il parlante italiano tende anche a “storpiare” il significato dei vocaboli stranieri, caricandoli – come afferma la Testa – “di un senso e di un potere esoterico che, di loro, non avrebbero. Per esempio, brand è la marca (non il marchio) e brand image è l’immagine della marca. Né più, né meno”.
Alcuni dei termini inglesi che utilizziamo, inoltre, provengono dal latino e sono stati poi traslati in inglese: è il caso di tutor, termine latino, pronunciato però “tiutor”, come in inglese.
Altre espressioni, invece, come as soon as possible, comunemente abbreviato come asap oppure for your information, nella forma fyi, avrebbero delle traduzioni italiane esatte, rispettivamente “il più presto possibile” e “per conoscenza”, che però, soprattutto nel linguaggio scritto e nell’inoltro di mail, vengono utilizzate sempre più raramente, anche se i destinatari sono tutti di madrelingua italiana.
L’inglese non è però l’unica lingua dalla quale il linguaggio quotidiano italiano “assorbe” termini: troviamo una simpatica parodia dell’utilizzo dei termini francesi in questo video. Servirà a farci riflettere su quanto l’eccessivo utilizzo di forestierismi possa risultare ridicolo e ingiustificato: la varietà dell’italiano ci offre, nella maggior parte dei casi, una valida alternativa.