
Pareri discordanti tra il pubblico del Bellini alla prima di “Zio Vanja” dramma tratto dall’opera di Anton Chekhov, per la regia di Marco Bellocchio con due “attoroni” del cinema italiano come Sergio Rubini e Michele Placido, in scena fino al 19 gennaio. L’opera ritenuta tra le più importanti dello scrittore russo, intreccia le monotone conversazioni e le banalissime vicende di un gruppetto di personaggi che vivono morbosamente e pedissequamente in una sofferenza fine a se stessa. La storia si svolge nella casa di campagna ereditata dal professor Serebrjakov (Michele Placido), cognato di zio Vanja (Sergio Rubini) e padre di Sonia (Anna Della Rosa). La prima moglie, sorella di Vanja, è deceduta e il professore si è risposato con Helena (Lidiya Liberman), bellissima e giovanissima donna.[divider]
Tra amori e vicissitudini di vario genere, Serebrjakov comunica a Vanja che è intenzionato a vendere il podere e questo è l’unico momento del dramma in cui gli equilibri possono rovesciarsi ed il cambiamento prendere atto. Ma alla fine l’agiato ereditiere e Helena torneranno in città, lasciando a Vanja la possibilità di continuare ad amministrare la tenuta, ovvero lasciandolo nella sua inettitudine al cambiamento ed alla vita stessa, insieme alla nipote Sonia, condannata come lui ad un’esistenza piatta.[divider]Bellocchio, fedele al testo, ripropone, probabilmente in maniera volutamente poco ritmica, esattamente questi sentimenti. Esistenze dilatate nel tempo dall’ozio, che intrattengono immobili conversazioni sul male di vivere, sull’insoddisfazione delle cose non fatte, non dichiarate, non agite, “Mi soffoca il pensiero che la mia vita sia perduta senza rimedio”. E lo fa annoiando a morte, suscitando pensieri di reazione nello spettatore, movimenti sussultori che quasi vogliono spingere all’azione, quindi, in maniera impeccabile, anche grazie alla maestria di un istrionico Michele Placido e un perfetto Sergio Rubini. Era forse questo che Chekhov voleva suscitare? La ricostruzione minuziosa di atmosfere sospese e vagamente inquietanti, l’indifferenza abulica dei personaggi intorno agli eventi, l’indefinito senso di attesa di una catastrofe incombente rendono questo testo una geniale anticipazione della drammaturgia novecentesca.[divider]Marco Bellocchio, è uno dei registi più anticonformisti della storia del cinema italiano, in una recente intervista dichiara, “Subisco il fascino del teatro. Rare le regie che ho firmato, ma ritrovo sempre il piacere del contatto con gli attori, che nel cinema è frammentario. Mentre, con la cinepresa mi barrico nella mia esperienza, qui vado senza rete”. Già in previsione la trasposizione cinematografica del testo teatrale diventerà, con produzione di Placido (come del resto per lo spettacolo teatrale), che sarà girato nell’estate 2014 in una “masseria pugliese”, ambientata negli anni’50.