
“Bisogna cambiare tutto per non cambiare niente”, così scriveva Giuseppe Tomasi di Lampedusa ne “Il Gattopardo”. Una grande verità che veste a pennello anche i nostri tempi, i cosiddetti “Tempi Nuovi”, che prestano il titolo alla brillante commedia presentata da Cristina Commencini nell’ambito del Napoli Teatro Festival 2017 ed ospitata nei magnifici giardini di Palazzo Reale di Napoli.
La scena si apre con la più consueta delle situazioni del quotidiano, di cui la rappresentazione è ricca di rimandi. Sabina(Iaia Forte) e Giuseppe (Ennio Fantastichini) sono una coppia sposata da più di trent’anni, storico e studioso lui, saldamente ancorato ai suoi libri e alle sue certezze, giornalista all’avanguardia e pseudo femminista lei. La goccia che fa traboccare il vaso o meglio scompaginare le pagine dell’album di famiglia, emblema dello scorrere fluido degli anni e delle ricorrenze, è la divergenza tecnologica. Giuseppe che potremo definire un analfabeta digitale, perde la testa davanti le ignote leggi che regolano il computer, incapace di raccapezzarsi tra scrivania, app. cestini e collegamenti e si rivolge al figlio diciottenne, implorandolo per il clic che gli salverà il lavoro e la vita. Solo un semplice, banale clic, il mondo cambia e bisogna adeguarsi, la risposta non la trovi più nei libri ma al’interno di quella macchina fatta di algoritmi e numeri, ad input risponde output, così Sabina la moglie rimbecca il marito, vantando la sua superiorità in materia.
Ma quando impari tutte le risposte, la vita ti cambia le domande. Questo è quanto succede quando i ruoli della coppia si ribaltano repentinamente davanti le inattese rivelazione della prole. Clementina e Antonio, i figli dei due coniugi, mettono, infatti, a dura prova la presunta modernità della madre e le ostinate certezze del padre. I due si rivelano infatti per ciò che sono, due giovani appartenenti alla cosiddetta generazione 2.0, in cui la comunicazione è stringata, i sentimenti sincopati, l’amicizia e l’amore sono facce della stessa medaglia e la coppia, così come tradizionalmente intesa, ruota attorno un diverso concetto di genitorialità.
Ma se a parole siamo tutti bravi, davanti il fatto compiuto, soprattutto quando questo tocca la nostra sfera domestica, dentro la quale ci sentiamo sicuri e protetti, come reagiamo? su questo si interroga il testo della Commencini, nel quale ci si riconosce, ci si immedesima, si ride e si riflette a partire dalle reazioni ed emozoni dei bravissimi attori in scena che danno prova di grande professionalità.
A partire da un esilarante Fantastichini che da vita sul palco al cambiamento repentino di un uomo che davanti le novità, prima le rifiuta poi le abbraccia, immergendosi nel vortice della modernità, senza mezze misure, in modo assoluto, quasi come in una sfida volutamente provocatoria. Ma dietro le apparenze, dietro la polvere sui libri e la difficile rete familiare che ci accoglie e ci respinge, ci sta l’improcrastinabile necessità di tenere assieme passato e presente, senza l’uno, l’altro non esiste e se la vecchia canzone di Sergio Endrigo “Ci Vuole un Fiore” continua ad essere cantata ai bambini da generazioni per farli addormentare, un motivo ci sarà.