
Oramai è risaputo, malgrado il prezzo del petrolio scenda vertiginosamente, alla pompa ciò non accade. Tutt’altro. Assistiamo ormai da giorni alla caduta libera del greggio che si aggira intorno ai 70 dollari al barile ma ai distributori italiani la contrazione dei prezzi stenta a concretizzarsi. Le motivazioni sono ormai sempre le solite: le accise che gravano sul costo finale.
Tutti si giustificano e si trincerano dietro le accise; lo Stato, le compagnie petrolifere. Giustificazione di “comodo” o realtà?Difficile saperlo, difficile dimostrarlo.
L’unica cosa certa è che il consumatore finale è colui che al termine della filiera, ci rimette sempre ed inevitabilmente.
Ma cerchiamo di capire perché il prezzo del greggio è in vertiginoso calo.
La colpa è da imputarsi allo Shale oil. Ebbene si, pare che il colpevole sia proprio lui, il nuovo oro nero americano.
Letteralmente Shale oil significa “olio di scito” soprannominato anche petrolio non convenzionale. Ha antiche origini,addirittura risalenti al XIV secolo.
Ovviamente il suo utilizzo nonché la lavorazione, ha subito enormi evoluzioni.
Ma cos’è di preciso?Come viene prodotto? Senza addentrarci in complicati procedimenti chimici possiamo dire, che esso viene prodotto dalla lavorazione di una particolare roccia a seguito della quale ebbene si, si ottiene il petrolio da utilizzare come combustibile oppure, procedendo con la raffinazione, può essere utilizzato per diversi scopi.
Tale lavorazione richiede enormi costi che diventano convenienti fin tanto il prezzo del greggio – paradossalmente – si mantiene a prezzi elevati.
In tal modo gli americani stanno cercando di diventare autosufficienti evitando di importare enormi quantitativi di petrolio e con un evidente risparmio.
A questo punto Lubrano direbbe, “la domanda sorge spontanea”: cosa fanno i produttori “storici” del greggio?Stanno a guardare?Certo che no!
Infatti, negli ultimi mesi l’Arabia Saudita e la Russia – rispettivamente primo e secondo produttore al mondo – hanno deciso di intervenire a tutela dei propri interessi aumentando vertiginosamente la produzione in modo da ridurre il prezzo del barile e, mettendo in tal modo con le spalle al muro i produttori dello Shail oil. Semplice intuire il perchè: con il prezzo del barile molto basso ma soprattutto sotto la “soglia di convenienza” rispetto al costo di produzione del petrolio non convenzionale, è ovviamente difficile contrastare in termini di prezzi il costo del barile stesso.
Certo, mantenere i prezzi del greggio così bassi, rappresenta una perdita importante per i Paesi Arabi e la Russia ma probabilmente è inferiore rispetto alle quote di mercato che stanno perdendo a causa dell’avanzata dello Shail oil.
La speranza per noi consumatori è che questo “duello” possa portare ad una concorrenzialità nel settore petrolifero – una novità assoluta nel panorama mondiale – che genererebbe la, tanto sospirata, diminuzione dei prezzi alla pompa.
Certo, a questo bisognerebbe associarsi anche la diminuzione delle accise che ricordiamo, incidono fino al 60% sul prezzo finale. Incredibile ma vero.
Dunque, non ci resta che sperare, che il mercato si apra davvero alla concorrenza ma soprattutto che lo Stato Italiano, diminuisca la zavorra che incombe sui prezzi dei carburanti.
Tutto ciò avverrà?La speranza è l’ultima a morire….