
L'amour fou
L’amour fou, l’amore di due pazzi, raccontato su un palcoscenico teatrale, all’Istituto francese Grenoble di Napoli.
L’amore di Yves Saint Laurent, famoso stilista francese morto per un tumore al cervello a Parigi, nel 2008, all’età di 72 anni, e Pierre Bergé, il suo compagno di vita. Ma anche l’amore folle di entrambi nei confronti dell’arte, e della moda, che viene narrato attraverso le lettere e il soliloquio di Pierre.
Lo spettacolo inizia dall’antisala del teatro, dove è stato ricreato lo studio dell’artista: una scrivania con i disegni degli abiti.
Inizia la processione del funerale: Pierre Bergé (Gianni Caputo), accompagnato da due modelle, viene seguito dal pubblico. Si entra finalmente in teatro. La scenografia è essenziale: una bara, su cui è adagiata una bandiera della Francia, scatoloni e porte finte, nient’altro.
Sul palcoscenico è Pierre il protagonista indiscusso, dall’inizio alla fine. Dietro le porte finte, però, va avanti uno spettacolo parallelo a quello principale, visibile grazie a un gioco di luci e ombre: Yves (Simona Perrella) balla sinuosamente e le modelle posano, come su una passerella. Il passato dell’artista, intanto, viene evocato e decantato dalle lettere di Pierre e dai suoi flash back.
Il tempo teatrale inizialmente è lento, ma viene poi scandito a ritmi più calzanti, nel corso dello spettacolo. Il pathos cresce, e anche le musiche – tra le tante, Cessate, omai cessate di Antonio Vivaldi e L’Amour Fou di Come Aguiar – curate da Giuseppe Sgamato, assumono un ritmo più serrato.
La vita di Yves Saint Laurent vista dagli occhi del suo compagno aveva ispirato in passato anche Pierre Thoretton, che nel 2011 ne aveva fatto un documentario. La teatralizzazione, però, è una novità. Non sarebbe stato possibile, senza la minuziosa cura di tutti i dettagli – bellissimi i costumi di Liliana Castiello – che rendono lo spettacolo messo in scena al Grenoble un unicum.
L’idea nasce da un libricino trovato da Marco Sgamato, regista dello spettacolo, a Parigi, nel 2012, un fascicolo che conserva le lettere di Pierre a Yves, scritte dopo la morte dell’artista. È già la frase iniziale ad offrirgli l’ispirazione: “ho perduto il testimone della mia vita, temo che ormai vivrò con minor cura di me stesso” (Plinio il Giovane).
Si parte dall’esperienza personale di due amanti, compagni per 50 anni, per riflettere su temi che attraversano la società contemporanea: il denaro, l’omosessualità e la critica spietata alla autoghettizzazione, la ricerca della spiritualità, il genio, la frustrazione, i rimpianti. E la magia dell’arte, forse, è proprio questa: dal particolare arrivare all’universale, come ci hanno insegnato i greci. Sì, proprio loro, che il teatro l’hanno inventato. La vita di uno stilista a primo acchitto potrebbe sembrare un tema frivolo, e invece nello spettacolo c’è molto di più.
L’espressività dell’attore Gianni Caputo riesce a dominare l’arduo ruolo del personaggio di Pierre Bergé. Dopo un’ora di soliloquio, nessuno ne ha abbastanza. Il pubblico vorrebbe che lo spettacolo continuasse, che le lettere non fossero finite, e che venisse svelato se esiste l’amore folle anche dopo la morte. Pierre crede che Yves continuerà a vivere nelle sue opere d’arte, gli abiti, anche dopo la morte, come ogni artista.
“Prima di Turner non c’era la nebbia a Londra”. E prima di Yves non c’era il prêt-à-porter, lui aveva fatto sognare le donne che non si potevano permettere l’alta moda, aveva dato loro il potere. “Il vestito più bello è pur sempre l’abbraccio dell’amato”, per chi non può averlo, però, Yves era lì.
L’arte ci rende immortali, in fondo. L’arte che produciamo, e non quella che collezioniamo, di cui invece possiamo sbarazzarci.
E infatti Pierre decide di mettere all’asta tutte le 733 opere che avevano collezionato in 50 anni lui e Yves: quadri di Picasso, di Matisse, lampade firmate da Alberto Giacometti e bronzi rinascimentali, argenti tedeschi del XVII secolo e pregiate ceramiche Limoges. A una certa età, come afferma il protagonista, “è bene allegerirsi”.
Viene messa in scena l’“asta del secolo”, l’unico momento in cui il protagonista si allontana dal palco. Sono Roberta Astuti, Alessandra Buono e Claudio Cacciaglia, ora, a scandire con le loro voci il ritmo sempre più calzante: “quattrocentocinquantamila euro, tre milioni, quattromilioni”, abbondano le offerte.
Un successo strepitoso, e Pierre ne è felice, è come se il suo compagno avesse goduto per l’ultima volta della gloria che gli era stata sottratta dalle preoccupazioni, dalla droga e dall’alcool.
Ma non finisce qui. Il tempo passa e il protagonista sente sempre più forte l’esigenza di ritrovare il suo amato. Ci prova, avvicinandosi alla porta, all’ombra di Yves. È una scena straziante, come se i due mondi, per un attimo, combaciassero alla perfezione, Pierre è quasi sul punto di toccarlo, ma è un’illusione.
L’ombra si tramuta in un manichino, ciò che Yves aveva reso un’opera d’arte. Il suo legame, ancora forte, con il mondo dei vivi. Tutto torna.
L’AMOUR FOU – In memoria di Yves Saint Laurent
Liberamente ispirato alle “Lettere ad Yves Saint Laurent” di Pierre Bergé.
scritto e diretto da
Marco Sgamato
con Gianni Caputo
Roberta Astuti
Alessandra Buono
Claudio Cacciaglia
Simona Perrella
Costumi
Liliana Castiello
Musiche
Giuseppe Sgamato
Direttore di scena
Leonardo Noto
Organizzazione
Serena Rinaldo
Grafica
Rino Lionetto