

Nel tempo sostanzialmente tutti i sindaci e tutti i livelli di amministrazione, che in qualche modo c’entravano con affari del clan, venivano coinvolte. Antonio Iovine cita tutti come conniventi, anche chi apparentemente contrastava la criminalità organizzata. Il capo clan nomina tra questi Lorenzo Diana dicendo che questi anche se «ha svolto un’azione politica dura di contrasto alla criminalità organizzata facendo parte anche della commissione antimafia (…) ha permesso che noi continuassimo ad avere questi appalti anche quando erano sindaci Lorenzo Cristiano e Angelo Reccia della sua stessa parte politica. Il sistema è andato avanti fino al 2008 e allo stesso modo nulla ha avuto da ridire il sindaco Enrico Martinelli che era invece del centrodestra».[divider]Oltre che con le istituzioni locali, i clan di Casal di Principe “lavoravano” anche con lo Stato centrale grazie alla possibilità di accesso a finanziamenti e fondi. Nelle casse dei casalesi arrivano infatti anche fondi del Ministero dell’Agricoltura e nella deposizione di Iovine si viene a sapere che «si trattava di lavori appaltati attraverso finanziamenti del Ministero dell’Agricoltura e Della Volpe Vincenzo ottenne di essere colui che avrebbe gestito per conto del clan i relativi appalti (…) Della Volpe utilizzò anche imprese del Napoletano, vivai che avevano le categorie giuste per accedere a questi finanziamenti. Se non sbaglio questi finanziamenti si riferiscono al periodo in cui il ministro dell’Agricoltura era Alemanno e ricordo il particolare che il ministro venne a San Cipriano per una manifestazione elettorale al cinema Faro su invito di mio nipote Giacomo Caterino».
Per accedere ai fondi o ai progetti ministeriali bisognava essere necessariamente ditte che avevano l’assenso dei casalesi – spiega l’ex parlamentare Lorenzo Diana, chiamato in causa dallo stesso Iovine – e bisognava presentare il certificato antimafia che evidentemente in qualche modo le stesse ditte affiliate alla malavita producevano. Il sistema è completamente in cortocircuito. I sorvegliati e i sorveglianti hanno la stessa faccia.
Questo meccanismo, questo «abbraccio tra Stato e camorra», come lo definisce lo stesso pentito, è definibile come una «mentalità casalese»: «è la regola del 5%, della raccomandazione, dei favoritismi, la cultura delle mazzette e delle bustarelle che, prima ancora che i camorristi, ha diffuso sul nostro territorio proprio lo Stato, assente nell’offrire opportunità alternative e legali alla nostra popolazione (…) e ci è stata inculcata fin da giovani».[divider]Se vuoi ascoltare l’articolo letto dalle nostre redattrici clicca qui
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