
Demolito l’ennesimo lascito ereditario di Obama. L’amministrazione di Donald Trump, dopo aver fatto strike delle misure di controriforma in termini di migrazione, energia e ambiente, passa in rassegna anche il World Wide Web, nello specifico, la normativa sulla tutela della privacy in rete. Il provvedimento – già varato dal Congresso a maggioranza repubblicana, ora in attesa della firma del presidente americano – cancellerà il divieto imposto ai provider di raccogliere e vendere i dati dei loro clienti senza il loro consenso.
Con l’abolizione delle restrizioni, dunque, i fornitori di banda larga come Comcast, Verizon e At&t potranno vendere al miglior offerente dati come la geo localizzazione, i numeri di previdenza sociale o le app scaricate, fornendo così profili personali, dettagli altrimenti rispettati e tutelati. Garantire l’accesso libero alla cronologia delle ricerche sul web – una mappa precisa ed affidabile di atteggiamenti, gusti, preferenze, orientamenti politici, sessuali o religiosi, nonché di dati finanziari e sanitari – significa consentire la commercializzazione della propria riservatezza.
La scelta dell’amministrazione repubblicana di dare in pasto a chiunque la propria identità è sostenuta da operatori che – seppur rilevanti all’interno del mercato informatico – si sono sentiti messi all’angolo e, quindi, non privilegiati così come, invece, accade ai big Google e Facebook, i quali, di fatto, non hanno alcun obbligo legato alla privacy.
L’abolizione delle norme di Obama, in materia di trattamento dei dati personali, potrebbe essere solo il primo passo verso un più ampio progetto di «deregolamentazione» del mondo virtuale. Il che porterebbe – e non è un’ipotesi azzardata – allo smantellamento della Net neutrality, ovvero il principio che impedisce agli Internet provider di favorire alcuni siti o App rispetto ad altri. Regola, questa, che vede tra i più acerrimi oppositori il nuovo leader della Federal Communication Commission, Ajit Pai, voluto con forza da Trump per dirigere l’authority di settore.
Alla luce di ciò, Jeffrey Chester, direttore del Center for Digital Democracy, sentenzia: «Il voto di oggi significa che l’America non potrà mai essere sicura online».