
Dopo il successo di pubblico e di critica dello spettacolo teatrale omonimo, partono le riprese di “Caina”, un film di Stefano Amatucci con Luisa Amatucci e Helmi Dridi, con la partecipazione della straordinaria Isa Danieli e prodotto da Socialmovie. “Caina” è una favola nera, raccontata attraverso la ferocia femminile, territorio oscuro e affascinante. E’ una storia visionaria e palpitante che prende spunto da fatti reali, quali l’immigrazione e il razzismo, ma immersi in un contesto surrealistico, allucinato e fantapolitico. Caina è una specie di sacerdotessa della morte, che diffonde la sua omelia in mezzo a cadaveri sospesi che talvolta le rispondono, a volte si incontrano, fantasmi che lei umanizza quando sono lì, proprio perché non hanno il diritto allo status di essere umano.
Il regista Stefano Amatucci, spiega che l’idea di questo film è nata da una notizia di cronaca: Un sindaco di un paese siciliano era molto preoccupato per gli sbarchi che avvenivano sull’ isola perché avrebbero rovinato la stagione estiva che stava per arrivare. Era evidente che non vi era in lui nessuna percezione della tragedia umana, ma solo la consapevolezza della tragedia economica, perchè era minata l’ immagine dell’isola. Non erano yacht ad approdare ma squallide carrette e i suoi equipaggi non erano starlette o stelline, imprenditori o sceicchi, stranieri con abiti firmati amati dai gossip, ma gente vestita male che puzzava di miseria e disperazione. Gente che scappa da miserie, dittature, guerre e vede nell’Italia, (nell’ Europa) la loro speranza che giorno dopo giorno però si sbriciola chiusi nei campi di prima accoglienza ( oggi divenuti “Lagher”, vedi il centro di prima accoglienza di Lampedusa, o il CIE di Ponte Galeria a Roma) e poi morire del tutto una volta usciti perchè o costretti a nascondersi e vivere da clandestini o rispediti nell’inferno da dove sono venuti.
Si tratta di una storia che porta lo spettatore ad ascoltare la propria coscienza, a scuotersi davanti a frasi, parole che sono ormai sulla bocca di noi tutti divenuti “I luoghi comuni” che vengono usati, nel nostro vivere quotidiano, con leggerezza, senza renderci conto che spesso proprio le parole sono un’ arma tagliente e spesso mortale. Per preservare la sceneggiatura da ogni lenocinio naturalistico e da ogni deriva populistica abbiamo spinto il risaputo sulle sponde della metafora e dell’iperbole.