
Non c’è alcuna tela da fare e disfare, ci sono invece i post-it sparsi per casa, emblema dell’impermanenza dei nostri propositi.
La Penelope portata in scena al Piccolo Bellini, nel monologo di Martina Badiluzzi e interpretato con estrema cura e talento da Federica Carruba Toscano, è una donna dei nostri tempi che si racconta nello spazio di un corridoio, ulteriore emblema di uno spazio permanentemente “transitorio”.
“Penelope non vuole un marito, vuole Ulisse” recita la frase dello storico Jean-Pierre Vernant come a sottolineare che a Penelope non interessa tanto un uomo da sposare, quanto un uomo da amare.
La Penelope che vediamo in scena allo stesso modo non cerca un uomo da sposare, tantomeno un uomo da rendere padre , cerca semplicemente se stessa.
E’ una rappresentazione estremamente fisica quella a cui assistiamo, in cui il corpo è protagonista, in cui Penelope è una donna che è stata sottoposta alle intemperie del tempo, conosce se stessa,
il suo corpo, conosce la sua lingua, sa parlare e ora parla riempiendo il suo deserto emotivo di parole che sono una prima persona singolare, un monologo.

Le nave a cui Ulisse si fa legare per resistere al canto ammaliante delle sirene è qui trasformata in un letto a cui questa volta ad essere legata è invece Penelope.
Inizia così un continuo alternarsi di piani temporali che a tratti inducono in eccessive divagazioni ma che ritrovano il filo della tela e della trama sul finale che regala un coreografico gioco di luci in cui i ventilatori in acciaio fino ad allora silenti elementi di scena, prendono vita e soffiano via l’assenza Ulisse.