
Sono passate tre settimane da quando, sui social network e nei telegiornali, si è iniziato a parlare di gilet gialli (gilet jaunes in francese), i quali hanno invaso le strade di Parigi per protestare contro l’aumento delle tasse sul gasolio imposte dal governo.
La protesta, però, ci ha messo davvero poco per espandersi in numeri ed intensità, e adesso si è trasformata in una vera e propria valanga che il presidente Macron sta facendo parecchia difficoltà a gestire: una manifestazione nella capitale è degenerata quando alcune vetrine sono state distrutte sugli Champs-Elysées ed è stato dato fuoco ad alcune barricate. La polizia antisommossa ha disperso i manifestanti con cannoni ad acqua e gas lacrimogeni.
Lo stesso Macron, quando ancora la protesta era nella sua fase embrionale, aveva dichiarato in un’intervista che non ci sarebbero stati passi indietro da parte del governo, poiché la politica di innalzamento delle tasse sul carburante faceva parte di un piano ecologico di riduzione degli scarichi da parte dei veicoli. “Preferisco tassare il carburante che il lavoro”, ha asserito il presidente. “Le persone che si lamentano dell’aumento dei prezzi sono le stesse che chiedono un’azione contro l’inquinamento dell’aria perché i loro figli si ammalano”.
Ma, evidentemente, non è bastata questa spiegazione per placare l’animo dei dissidenti, al punto che il governo è stato costretto a fare un passo indietro, aprendo uno spiraglio di confronto con la popolazione in rivolta: il confronto ripartirà dunque da zero, nonostante i proclami di Macron sulla necessità di politiche ecologiche.
Cosa avrà convinto il presidente francese, allora, a rivalutare radicalmente le priorità del governo? Sicuramente la paura di nuove manifestazioni violente ha fatto la sua parte, considerato che nei prossimi giorni sono previsti, proprio a Parigi, focolai di scontri tra la polizia e la popolazione.
Probabilmente, però, il dato che ha fatto breccia nelle convinzioni di Macron sono stati gli enormi consensi raccolti dai gilet gialli nel corso delle ultime settimane: i sondaggi delle maggiori testate giornalistiche francesi suggeriscono che il 66 per cento della popolazione continui a sostenere la protesta, mentre la popolarità del presidente si attesta sul 18 per cento, il minimo storico mai raggiunto da un capo di stato in Francia.
Un dato preoccupante per la stabilità politica francese, soprattutto se si pensa che questi dati siano stati pubblicati prima che alcuni video agghiaccianti finissero in rete, dove è possibile vedere alcuni membri della polizia francese minacciare con le armi alcuni studenti, rei di essersi uniti alla protesta: sembra la scena di un campo di concentramento, uno smacco pesante per chi aveva visto in Macron un baluardo antifascista per contrastare la deriva autoritaria della Le Pen.
Come se ci trovassimo in un nuovo periodo del terrore, dunque, la nazione è precipitata nel caos quando ha sentito che la politica si stava allontanando dai cittadini per inseguire obbiettivi tanto nobili quanto intangibili; e, se Robespierre ci ha insegnato qualcosa, Macron dovrebbe star bene attento a tenersi la testa sulle spalle.