
It is raining letters and numbers

Il 5% degli studenti italiani è affetto da dislessia, vale a dire un ragazzo ogni 20 alunni. Stiamo parlando di quello specifico disturbo dell’apprendimento che rende più difficoltosa la decodifica del segno scritto e quindi la velocità e la correttezza della lettura, del calcolo e della scrittura. Benché la sua definizione sia – presumibilmente – nota ai più, in verità esistono aspetti e retroscena di questa patologia che molti ignorano. Ecco 3 cose della dislessia che (forse) non sai.
- La musica aiuta. Mauro Montanari, pianista e docente diplomato al master “Didattica musicale, Neuroscienze e dislessia” al conservatorio Verdi di Milano dedica la sua attività proprio a coloro che sono affetti da dislessia. Il maestro spiega, dunque, come lo studio della musica possa influenzare e apportare benefici nella vita quotidiana dei soggetti dislessici. «Le nuove tecniche di neuroimaging come per esempio la trattografia (risonanza magnetica) permettono di vedere le funzioni del cervello in movimento nei collegamenti degli assoni e dei neuroni e questo ha evidenziato come la pratica musicale mette in azione quello che si definisce network neurale. Questo induce a pensare che attività che nella media vengono espresse solo in certe aree del cervello, in chi studia musica vengono espresse da tutta la corteccia. È stato osservato che quando un musicista legge un testo alfabetico si attivano aree che in genere non lo sono ed è proprio questo che porta al miglioramento: lo spartito musicale è un insieme di segni che contiene informazioni dinamiche che vibrano nei loro addensamenti e nelle loro rarefazioni creando una sinergia tra teoria e prassi. Ma questo lo sappiamo da sempre, da sempre sappiamo che se uno studia musica può avere facilitazioni nella matematica e nell’espressività del parlato; la scienza, con le sue dimostrazioni e con i dati, sta solo rendendo più aulico quello che empiricamente era già chiaro».
- I bambini e i videogiochi: non sempre un male. Giocare ai videogames non è indiscutibilmente uno spreco di tempo ed energia. Non se a giocare è un bambino dislessico. Solo di recente, infatti, i videogiochi sono entrati nei programmi di riabilitazione della dislessia rivoluzionando in modo efficace e divertente i trattamenti tradizionali. Alcune ricerche hanno testato l’efficacia dei videogiochi d’azione – ovvero quei giochi che agiscono sui circuiti cerebrali legati alla percezione del movimento – nell’accelerare la lettura e l’attenzione visiva nei bambini italiani con dislessia. I risultati dimostrano che i videogiochi d’azione potenziano le capacità di percezione e attenzione visiva e favoriscono l’estrazione di informazioni dall’ambiente.
- Il risvolto della medaglia. La dislessia non è un limite, non se lo si sa rendere un punto di forza. È quel che ha fatto Philip Schultz, 72 anni, ineccepibile scrittore, vincitore del Pulitzer per la poesia nel 2008, dislessico. Con l’opera “La mia dislessia”, Schultz non ha solo vinto uno dei più prestigiosi riconoscimenti letterari americani, ma ha anche dimostrato che la dislessia può essere una risorsa. Nel suo memoir, per raccontare e tentare di spiegare la sua convivenza con tale disturbo, Schultz cita Anton Čechov: «La mente di un dislessico è diversa da quella degli altri. Ho impiegato gran parte della vita per capire che la mia non era stupidità, ma non è stato facile lasciarmi alle spalle l’immagine negativa che avevo di me. È stato come nuotare controcorrente». E pur nuotando contro corrente Schultz è giunto ben oltre la riva. Oggi non è solo un premio Pulitzer, un insegnante, fondatore di una scuola, è un esempio, un modello da seguire. E non solo per le persone dislessiche.