
La notizia della chiusura del servizio di Google News in Spagna non fa piacere e non deve far piacere, poiché rappresenta un bene per tutto il settore. Perché? È semplice: mette nelle mani degli utenti la possibilità di crearsi un proprio servizio personalizzato di notizie. Permette di comparare, di mettere in relazione, di veicolare contenuti di diversi editori ma anche di blogger e siti di informazione meno conosciuti e come già sappiamo, siamo nell’era della personalizzazione.
Non si tratta di Google, che oggi è presente in 40 paesi nel mondo (con 70 uffici) che ha una capitalizzazione di 357 miliardi di dollari e il singolo titolo è quotato 528 dollari nel Nasdaq di New York, ma del principio ovviamente, poiché non stiamo parlando di pirateria o di vandalismo informatico, che sono un’altra cosa, ma di assemblaggio di notizie che al massimo amplia il traffico di utenti sui siti di informazione. Oltretutto, già diversi siti di informazione non permettono l’accesso ai contenuti se non dietro registrazione e sottoscrizione di un abbonamento. Ed allora perché imporre una tassa con legge dello Stato? Oggi tutti i servizi sono personalizzati e questa legge, ci chiediamo, era proprio necessaria? Secondo il PP, il partito popolare spagnolo, era necessaria e come. In barba alle proteste dell’opposizione, ha visto la luce la riforma della legge della proprietà intellettuale la quale partorisce quella che dagli albori delle discussioni nel Parlamento spagnolo è stata nominata la “tassa google”: impone agli aggregatori di contenuti su Internet di compensare economicamente gli editori per l’utilizzo dei contenuti di cui hanno i diritti.
Il ministro della cultura del governo spagnolo, Jose Ignacio Wert ha precisato che in realtà la decisione del colosso di Montain View, California, arriva in anticipo perché la legge entrerà in vigore solo il 1° gennaio 2015, ma in ogni caso bisognerà aspettare il regolamento che disciplinerà le forme di negoziazione del compenso che gli aggregatori devono riconoscere agli editori, per l’utilizzo dei contenuti di cui possiedono i diritti. Con una nota Google ha annunciato che dal momento che entrerà in vigore la nuova legge chiuderà il servizio perché non essendoci pubblicità, ed essendo gratuito all’utente, non è sostenibile economicamente dalla società.
In realtà dice Richard Gringas¸ il direttore di Google News, che questa legge impone di riconoscere un compenso agli editori, anche nel caso in cui questi non vogliano essere pagati. Il servizio è attualmente disponibile in 70 edizioni internazionali e in 35 lingue e il paradosso è che questa piattaforma permette di incrementare la diffusione dei contenuti pubblicati e di generare un circolo virtuoso dell’informazione, oltre che di ampliare notevolmente il traffico di utenti sui siti di informazione. È obiettivamente un bene per l’informazione e per il settore e questa legge allora? È semplicemente anacronistica, è un passo indietro rispetto ai tempi che viviamo.