
Due ore senza intervallo. Il racconto dell’Italia e del pianeta.
Un racconto per chi non vuole capire, ancora.
Un racconto satirico, quello di Sabina Guzzanti – nello spettacolo tenutosi al Bellini il 27 e 28 novembre, rivolto a coloro che si “distraggono” dalla semplice verità della vita, -come donna proveniente dal futuro,“SabnaQƒ2”: un orto e le relazioni.
Un racconto dispiegato nei numerosi esempi di “oblio della ragione” di coloro che danno attenzione e quindi vita, con i discorsi, le parole, i sensi, offuscati e soffocati, al “di più”, provocando rifiuti, scorie e “sistemi” di cui si diventa meccanismi di chiapliniana memoria.
In una scenografia asciutta, due leggii, due bassi tavolini come piccoli palchetti, un occhio di bue che, come in un teatro cinese, riverbera le ombre di “SabnaQƒ2” in abito dal sapore orientale che inscena il discorso di celebrazione della fine del periodo storico peggiore dell’umanità, quello dal 1990 al 2041, noto come il “secolo di merda”.
La celebrazione ha lo scopo di ricordare e non ricadere nel baratro dell’imbecillità dei “merdolani”, gli uomini e le donne che vissero in quel secolo buio, cui, seppur sia più salutare non dare importanza, è comunque bene passarne in rassegna le grossolanità.
Il discorso della prescelta “SabnaQƒ2” esordisce nei più puri crismi della retorica, riferendosi a coloro che “si sono sacrificati e hanno combattuto eroicamente” ma dal linguaggio stesso quel sacrificio appare limpido nella sua inutilità e la dissacrante ironia svela i “perché” di quel “secolo di merda”, raccontando l “ignobilità” delle azioni delle masse, dei leader politici e dei singoli. Nessuno escluso.
Il racconto lo conosciamo tutti.
Ma, ne veniamo mai toccati nel profondo, questo il quesito,tanto da indignarci e “creare” una azione quotidiana diversa, per ottenere un risultato finalmente diverso? Ancora, perché le guerre? Perché colludiamo con chi truffa la vita vera e sostanziale preferendo dar valore soprattutto al mercato finanziario e economico, alla produzione incontrollata e a tutto ciò che viola l’essenza dell’essere umano?
“SabnaQƒ2”, ci invita nel suo tempo in “una casa tra la “sbaracchia” – nome sconosciuto del futuro lasciandoci immaginare un bosco – e il mare – il solito mare che accoglie e purifica tutto come, con pazienza, fa da millenni – e offre “papozzoli” coltivati, suggerendo, con le sue stesse parole, di vivere in una era, semplice, pratica , in sintonia con i ritmi della natura.
Natura che ci richiama alla singola scelta e all’impegno con i suoi cataclismi e il clima in una evoluzione accelerata, visto che i suoi sussurri non li recepiamo più.
Eppure “ne siamo usciti fuori” anche noi insieme a lei, nel suo racconto.
Ne siamo usciti, anche noi, da quel racconto straziante e penoso per la lunghissima sequela di errori commessi così grossolanamente da far nascere ironiche risate su se stessi e sulla nostra stupidità: in politica, in società, in collusioni mafiose, camorristiche, in guerre per il potere economico, politico, sociale di altri, di pochi. Una risata ironica, per vedere meglio, da un’altra angolazione la disastrosa situazione che abbiamo “creato” con l’incoscienza: ci stiamo troppo dentro e non troviamo la direzione. Indugiamo nei discorsi e manchiamo di azione.
Il discorso di celebrazione di “SabnaQƒ2” fa finalmente emergere i segreti che “tutti conoscono ma nessuno dice”, il discorso che è fra due, per diventare fra mille e decine di migliaia; questo discorso, che è l’unico possibile per l’essere umano, richiede un’azione conseguente al pensiero e richiede, inoltre, un’azione comune, a partire da due: “SabnaQƒ2” e il pubblico.
La donna che ci parla dal futuro indica anche una strada: il discorso non deve impossessarsi di noi. Noi, esseri umani, non siamo solo discorso. Noi dobbiamo usarlo, usarlo per agire. Siamo anche corpo, corpo in relazione.
“SabnaQƒ2” è un corpo che si espone sulla scena, insieme alle parole; una voce, inoltre, su quella stessa scena in cui afferma di “non essere un’attrice”, come a lasciar libera l’interpretazione agli uomini e alle donne a cui si rivolge, con la suggestione che tutti siamo, d’altro canto, “attori” su questo “Teatro-Pianeta” in cui scegliamo quale “parte” assumere.
Ma “SabnaQƒ2”, conscia del pericolo sotteso nelle “troppe parole”, che rinviano l’azione, ricomincia a danzare una danza orientale “Kalla Kalla” – con cui ha aperto il discorso per la celebrazione dell’ “uscita dalla stupidità” dei comportamenti umani, singoli e planetari.
Una danza orientale che pone l’occidente – e il suo pensiero “unico”, economico-finanziario di sfruttamento e depauperamento basato sulla paura e la minaccia e che “produce” rifiuti mai più riassorbili dalla natura perché troppo estranei alla natura stessa (forse anche a noi?) come naturalmente farebbe o farà in migliaia di anni – nell’alveo del pensiero e modalità orientale – una danza un canto, un “essere tra cielo e terra” – un “essere di cielo e di terra” – un essere, inoltre, che respira tra loro e grazie a loro.
Non che tutto ciò che abbiamo fatto sia sbagliato, ma è urgente, ormai, selezionare non secondo il principio della “sopravvivenza” bensì secondo il principio di ciò che ci fa “vivere ancora”; d’altronde siamo esseri umani e questo è il nostro destino.
A patto che non riempiamo le nostre teste di pensieri senza farli seguire da azioni per la vita, che non riempiamo il nostro tempo di oggetti e strumenti tecnologici e di armi per le guerre e guerre nei pensieri che occupano lo spazio delle relazioni e del riconoscere ciò che è più vero in ogni vita umana: essere in pace, con se stesso e con gli altri.
Come si siano salvati, quindi, “come ne venimmo fuori”, anche noi del 2015, non si sa con precisione. Un piccolo manipolo di giovani all’uscita di un cinema che si ritrovano a essere gli unici esseri umani sulla terra. Il mondo era “scoppiato” sviluppando al massimo grado tutte le sue storture.
Il Cinema, Arte, arte visiva che riunisce in sé voce, corpo, immagine, racconto e musica li ha salvati e resi gli ultimi esseri viventi sulla Terra. I primi di una nuova Era. Il “secolo di merda” è passato via come per magia.