
Per oltre trent’anni è stato l’emblema dell’azione, l’eroe che non si arrende mai. Bruce Willis non è stato solo un attore ma un simbolo di forza e ironia, capace di trasformare ogni battuta in leggenda. “Yippee-ki-yay”, gridava John McClane in “Die Hard”, mentre sfidava terroristi e sorte, ferito ma sempre pronto a rialzarsi. Sul grande schermo, Willis era indistruttibile, solo a leggere il suo nome in cartellone, presagiva la visione di un “filmone”.

Oggi, invece, il tempo, gentiluomo ma anche tiranno, gli ha imposto una sceneggiatura diversa. Dopo una diagnosi che ha colpito tutti come un pugno allo stomaco, una malattia neurodegenerativa progressiva, Bruce si è ritirato dal cinema e dalla vita pubblica, non per scelta, ma per necessità. Le difficoltà di parola, i vuoti di memoria, la perdita di autonomia lo hanno costretto a lasciare il palcoscenico.
L’immagine di Bruce Willis come icona d’azione sul grande schermo è impressa nell’immaginario collettivo. Ma il vero eroismo dell’attore emerge lontano dai riflettori, nella sfera più intima. Secondo quanto trapelato, Willis avrebbe affrontato la sua malattia con lo stesso coraggio che i fan hanno sempre ammirato nei suoi personaggi: proteggendo chi ama. Consapevole della possibile degenerazione delle sue condizioni, avrebbe detto alle figlie di non sacrificare la propria vita per lui, di non sentirsi prigioniere del suo dolore, ma di affidarlo a chi potrà assisterlo professionalmente. Un gesto di straordinaria lucidità e altruismo, che ribalta la retorica dell’eroe invincibile e ne svela una versione più autentica, cioè quella di un padre che sceglie l’amore e la dignità, anche nel momento più difficile.

È un epilogo che fa male, soprattutto per chi lo ricorda mentre camminava a testa alta in Pulp Fiction, o che tremava al solo nome di Jimmy Tulipano, o affrontava l’apocalisse in Armageddon. Allora diceva: “Non voglio chiudere gli occhi”, mentre oggi la vita sembra chiudergli davanti alcune delle sue porte più preziose. Eppure, nonostante tutto, resta quell’uomo, con quello sguardo che un tempo comunicava interi dialoghi senza pronunciare una parola. Solo pochi scatti rubati dalle realtà più intime familiari, raffigurano quei sorrisi di Bruce dolci e pregni di tenerezza.

Tuttavia, la fragilità non cancella la grandezza, anzi, probabilmente la esalta perché la rende più umana. Vederlo ora, lontano dal clamore, significa capire che nessuno è invincibile, nemmeno chi ha sfidato il destino in mille film, nemmeno chi ci ha insegnato che la forza non è mai arrendersi. Forse, oggi, la vera forza è accettare la cura degli altri, lasciarsi amare, restare aggrappato a un ricordo, a un sorriso.
Bruce Willis è stato il paladino che affrontava il mondo a mani nude, oggi è come quel grattacielo di Die Hard dopo l’esplosione: non più intatto, ma pur sempre un grattacielo ancora in piedi, con le cicatrici che raccontano una storia di battaglie. L’attore che ci ha fatto sognare con la sua invulnerabilità è ora l’uomo che ci insegna la vulnerabilità. E in questa planata discendente silenziosa, paradossalmente, continua a essere un eroe.

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