
Come si sente uno scrittore trentenne che vive a Napoli? Ce lo racconta con ironia e fascino Massimiliano Virgilio nel suo ultimo romanzo edito da Rizzoli, “Arredo casa e poi m’impicco”, presentato alla Feltrinelli di Napoli con l’intervento dello sceneggiatore e autore Maurizio Braucci. «Questo è un libro un po’ a scatole cinesi», introduce così, Braucci il suo contributo, e non sbaglia affatto. La storia è quella di Michele, uno scrittore che si ritrova a trent’anni e senza rendersene conto fino in fondo, un mutuo ventennale sulle spalle, due insuccessi letterari, e forse un terzo in arrivo, e l’incombenza di arredare casa. Un romanzo che potrebbe essere definito “generazionale” rispetto allo spaccato di vita raccontato, una fotografia sulla mentalità tutta italiana che trova nell’acquisto di una casa il corrispettivo evolutivo di una persona, la casa come archetipo imprescindibile, come se rappresentasse la sicurezza assoluta dell’uomo moderno. «Ho cominciato a scrivere questo libro il giorno del mio trentesimo compleanno. – spiega l’autore – Mia madre mi fece notare che alla mia età lei aveva già la sua cucina e papà aveva il suo televisore, ed io invece stavo ancora a casa e non avevo il mio televisore». [divider]Ma “Arredo casa e poi m’impicco”, non è solo questo, è anche una riflessione sull’industria culturale, poichè, Michele è in procinto di scrivere un nuovo libro, e riesce a raccontare una dimensione del nostro presente molto rilevante, chiamata a dare senso e consenso ad una comunità. Nel corso della chiacchierata con Virgilio però fuoriesce una terza dimensione ovvero il rapporto viscerale che l’autore ha con la letteratura e la scrittura stessa, la ricerca e il valore della parola, da cui scaturisce una riflessione sul senso reale che dovrebbe avere questo mestiere. Sarcastico, divertente, riflessivo questo libro ha tutte le carte per diventare un nuovo caso letterario.
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Guarda l’intervista a Massimiliano Virgilio