
Alvaro Vitali ci ha lasciati prematuramente e, con lui, se ne va un pezzo irriverente, trasversale e autentico del cinema popolare italiano. Era la maschera felliniana, aveva il volto buffo e lo sguardo malinconico di chi sapeva di non appartenere ai salotti buoni dello spettacolo, ma riusciva comunque a far ridere milioni di italiani. Il suo nome è indissolubilmente legato al personaggio di “Pierino”, stereotipo dell’Italia anni ’80, ingenua e volgare, che oggi in molti fingono di non ricordare, mentre ieri ridevano di nascosto.

Momenti in cui a riecheggiare nelle menti degli increduli c’è solo “Fiumi di parole” de i “Jelisse”, che fa da colonna sonora a messaggi d’affetto, omaggi pubblici e dichiarazioni d’amore professionale da parte di colleghi e registi che per decenni lo hanno ignorato, per non dire: snobbato. È la solita liturgia post mortem che trasforma in “maestro” anche chi, in vita, veniva relegato a fenomeno di costume o peggio, barzelletta vivente. Eppure Alvaro lo sapeva. Lo diceva con amarezza, senza rancore: “Mi hanno messo da parte quando non facevo più comodo.”
Il mondo dello spettacolo, quello dei riflettori, della bella vita, degli autografi e dei selfie è solo una faccia di quella medaglia che appare anche spietata, in cui ha spesso bisogno di nemici da escludere per sentirsi puro, salvo poi, davanti alla morte, ripulirsi la coscienza con parole vuote. Questa ipocrisia fa più rumore del silenzio di quegli anni in cui Vitali cercava ruoli seri, desiderava essere ascoltato e veniva liquidato con un’alzata di spalle da chi, invece, apriva le porte ai talent inetti e agli influencer di ogni tipo.

A concedergli un ultimo sorriso sul set, è stato Carlo Verdone, padre del cinema e signore vero nella vita, che lo ha voluto nella quarta stagione di “Vita da Carlo”. Il regista romano, in un’intervista, ha affermato che ha scritturato Vitali per omaggiarlo e non per fargli la carità: “…perché faceva cinema vero, ora non so se esiste ancora il cinema”.
Alvaro Vitali è stato un attore vero, che ha pagato il prezzo dell’aver fatto ridere nel modo sbagliato, al tempo sbagliato. Ma la sua risata, scomposta e sincera, resta impressa nel cuore di chi lo ha seguito davvero. Va ricordato che il rispetto va dato in vita, non solo in morte. L’ipocrisia dello spettacolo è come un sipario: si apre quando conviene, ma dietro nasconde il vuoto.

Peccato che molti abbiano visto Alvaro come un clown, lui che, invece, era il trapezista senza rete. Ora “vai a posto Pierino”… col fischio!
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