
Con la morte di Pippo Baudo si chiude un capitolo della nostra storia collettiva. Non solo quella della televisione, ma della vita quotidiana di milioni di italiani. Perché Baudo, per più di mezzo secolo, non è stato soltanto un conduttore: è stato un volto amico, familiare, rassicurante. Una presenza costante, capace di accompagnare generazioni diverse con lo stesso garbo, con quella compostezza mai rigida e con un entusiasmo che apparteneva ai pionieri.

Siciliano nel midollo, nativo di Militello in Val di Catania, classe 1936, laureato in giurisprudenza, scelse il piccolo schermo quando era ancora un terreno da inventare. Con intelligenza, eleganza e ironia divenne subito il simbolo di una televisione che sapeva intrattenere senza svendere la dignità del pubblico, anzi rispettandolo con la luce rossa della telecamera accesa ma soprattutto, quando la stessa si spegneva. La sua forza stava in un equilibrio raro: sapeva essere colto senza mai risultare pedante, leggero senza mai cadere nella banalità.
Se la Sicilia è stata la sua casa natale, Sanremo fu la sua casa più riconosciuta. Tredici edizioni dell’amato Festival portano la sua firma, e in ognuna seppe dosare spettacolo e serietà, scoprendo e lanciando voci, non tutte riconoscenti all’uomo che le cambiò vita, che avrebbero fatto la storia della musica italiana e internazionale. Ma non c’è solo l’Ariston nel suo percorso: “Domenica In”, “Fantastico”, i varietà del sabato sera come “Papaveri e Papere” con l’amico Giancarlo Magalli, i grandi talk culturali. Pippo aveva la capacità di trasformare ogni programma in un incontro più che in uno show, mettendo al centro non se stesso ma gli altri, i talenti, le storie, come se tutti fossero invitati nel suo salotto di casa.

Questo il segreto della sua longevità: non l’egocentrismo, che non sapeva nemmeno dove dimorasse, ma la generosità, quella che cela un’intelligenza quasi nobile, ormai rara, se non unica. In un mondo che spesso corre dietro alle mode effimere, Baudo rappresentava la solidità, la fiducia, il senso di comunità. Non amava gli scandali, non cercava lo scontro, lo evitava con destrezza professionale, preferiva la parola giusta, il sorriso accogliente, l’applauso condiviso ed essere il leader, il maestro e non il capo, pronto ad assumersi ogni tipo di responsabilità, anche se si trattasse di situazioni irrilevanti alla sua mansione. Il primo ad arrivare alle prove e sempre l’ultimo ad andarsene, sempre, anche quando l’età avanzava.
Oggi, nel ricordarlo, non si celebra solo un conduttore. Si saluta un uomo che ha insegnato a fare televisione rispettando il vero “datore di lavoro”: il pubblico. Ha custodito l’idea di una tv “sana”, popolare nel senso più alto del termine, capace di far sentire tutti a casa senza rinunciare alla qualità, perché per lui il palco è ascolto e rispetto, non solo spettacolo da bruciare e consumare in fretta.

E allora grazie, Pippo. Grazie per aver insegnato che la televisione non è rumore, ma voce; non è clamore, ma racconto. Grazie per aver ricordato che l’eleganza non è un vestito, ma un modo di stare al mondo. Oggi il sipario cala. Ma la tua voce, come una musica sanremese che non smette mai, continuerà a risuonare lieve, tra i fili invisibili che legano la memoria collettiva al futuro. Perché certi uomini non se ne vanno davvero: restano luce discreta, e fanno compagnia anche quando non si vedono più.