
Un fumo denso, cupo e nero come l’ossidiana, in queste ore, si è levato e cerca di essere domato, dal Monte Somma, fratello silente del Vesuvio. Avvolge i paesi vesuviani in un tetro abbraccio di paura e tristezza. Un nuovo incendio violento e molto ampio ha divorato il bosco della Cupaccia e la macchia mediterranea, mentre il cielo napoletano perde del suo azzurro limpido per tingersi prepotentemente di grigio e il sole fa fatica a filtrare tra le nuvole nere i suoi raggi caldi.

La scena è spettrale: dal cielo cade cenere, un’immagine agghiacciante che riporta le stesse angosciose sensazioni de l’iconica scena del film “Schindler’s list” di Steven Spielberg; fiamme che corrono lungo i crinali, alberi che cadono come soldati abbattuti e il suono sordo dell’acqua lanciata dai Canadair, ben sei, che combattono una guerra impari. Aiutati da cinque elicotteri e centocinquanta eroi impegnati sul campo con mezzi specifici. La montagna arde, ancora una volta. E con lei, brucia qualcosa di più profondo: il legame antico tra questa terra e la sua gente.
Per i partenopei, il Monte Somma, non è un semplice monte. È memoria, identità, è presenza viva, è lo sguardo costante che veglia dove soffia il Levante. È il guardiano dell’estate, delle escursioni, delle giornate liete e lievi di chi vuole godersi le bellezze che questa terra offre. Quando il fuoco vieta ogni accesso, non è solo la flora e la fauna che si consuma e sparisce in residuo ma è come se il canto di Partenope diventasse afono.

Gli aiuti provenienti dal lontano Veneto e la task force della Protezione Civile Nazionale combatte questo mefistofelico incendio che brucia le radici, quelle vere, radicate nella terra e quelle invisibili, che uniscono il popolo a ciò che ha di più sacro: la sua montagna, con il suo verde, che respira e fa respirare.
Eppure, come sempre, Napoli osserva il disastro con un misto di dolore e testardaggine. Perché se è vero che ogni fiammata è una ferita, è altrettanto vero che ogni ferita, qui, sa diventare cicatrice viva. Si ricostruirà. Si pianterà di nuovo. E si vigilerà, si spera, con più amore, più severità e più coscienza.

Le fiamme passano. L’anima resta. Ed è proprio quell’anima, quella dei piromani che andrebbe evocata, o meglio, quella dei loro avi, come dicono a Roma: l’anima de li mejo mort…
Il Vesuvio chiede e merita rispetto, cura e memoria. Napoli non dimentica.
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