
Esordio poetico di Antonio Di Benedetto
Con Frammenti da un mondo improduttivo, Antonio Di Benedetto firma il suo esordio poetico per Il Seme Bianco – collana Controluna – offrendo una raccolta intensa e necessaria, capace di interrogare la contemporaneità con voce lucida e profonda. Nato a Nocera Inferiore nel 1974, laureato in Economia e oggi manager nell’area Risorse Umane a Roma, Di Benedetto porta nella sua scrittura la complessità di chi vive immerso nella logica del lavoro organizzato, ma non rinuncia all’urgenza della riflessione e alla potenza del linguaggio poetico. Sposato con Anna e padre di Daniele e Ludovico, l’autore intreccia biografia e visione in una lirica che scardina la superficie delle cose per cercare l’umano nascosto sotto la pelle delle strutture. Frammenti da un mondo improduttivo riflette sullo stato dell’uomo nell’era dell’intelligenza artificiale, quando la razionalità algoritmica sembra prevalere su ogni impulso emotivo, generando alienazione, solitudine e una profonda frattura interiore. Versi taglienti e visionari, capaci di evocare immagini potenti — “la pelle che arde”, “i denti che battono al freddo” — e al tempo stesso di sollevare interrogativi sull’identità, la libertà e il valore del sentire in un contesto dominato dalla produttività.
“Sono l’intaglio del diamante grezzo,
sono la pelle che arde sotto il sole
i denti che battono al freddo…
sono lo schiavo del capitale,
il capitalista piramidale…
sono il bene che corrompe
e il midollo che erompe dalle carni vive.”
Attraverso questi versi, Di Benedetto costruisce una denuncia poetica che è anche un atto di resistenza: una voce che cerca spazi di senso in un mondo dominato da metriche, efficienza e standardizzazione. La raccolta affronta con lucidità e passione temi come l’alienazione, la banalità della routine, le dinamiche del lavoro contemporaneo e la frattura tra sapere tecnico e conoscenza emotiva, delineando un affresco critico e vibrante della società attuale. Frammenti da un mondo improduttivo è un invito a riscoprire il valore dell’inutilità apparente della poesia, come strumento di consapevolezza e memoria, come gesto libero che restituisce voce all’individuo.