
È dal 2019 che Fondazione Teatro di Napoli e Teatro Bellini portano in scena in tutta Italia, e con grande successo, Le Cinque rosedi Jennifer, pièce che segnò l’inizio di un’illuminata ed illuminante carriera drammaturgica, quella dell’indiscusso genio stabiese Annibale Ruccello… ahinoi scomparso troppo presto! Acclamata e reclamata dal pubblico partenopeo, l’indovinata edizione è tornata ‘a casa’, al Teatro Bellini di Napoli, fino al 6 ottobre.
Questo attualissimo dramma mette in scena gli emarginati, e li racconta attraverso la solitudine e la ghettizzazione dei travestiti, simbolo, testimoni e rappresentanti di qualunque reietta umanità che, oggi più che mai, lancia da qualunque parte del mondo il suo disperato appello.
In un immaginario quartiere di femminielli, Jennifer vive la sua grigia esistenza, replica infinita di azioni che, nell’alternarsi di momenti dall’innegabile comicità ad altri di improvvisa e dichiarata disperazione, manifestano tutto il suo mal di vivere. E quel malessere, all’inizio dello spettacolo grigio anche nei costumi maschili degli interpreti, si veste e si traveste, cambia pelle e abiti, realizzati con sapiente intuito da Chiara Aversano. E i costumi eccentrici e scenografici, che divengono anche arredi, manifestano il bisogno di camuffare il presente vestendolo di lustrini e paillettes, di occultare il proprio sconforto con strati infiniti di trucco, che trasformano il volto in maschera grottesca.
La protagonista abita un triste appartamento, reso spazio essenziale ed onirico dalla scena di Lucia Imperato – con la sua sabbia scura, ‘lavica’, per pavimento e il persistente rosa degli elementi scenici – e dalla complicità del suggestivo disegno luci di Salvatore Palladino. Il tempo passa nell’attesa di una telefonata dell’amato Franco che non arriva, perché per un disguido tecnico, continuo e senza speranza di risoluzione, nessuno degli abitanti del quartiere riceve le comunicazioni a lui destinate, così la povera Jennifer si ritrova a parlare con l’uomo dell’ormai nota Luana o con il molestatore di turno. A parte gli squilli continui e le digressioni alla cornetta, Radio Cuore Libero diffonde le note di iconici brani di Patty Pravo, Mina o la Vanoni… sempre gli stessi e preceduti ogni volta dalle medesime dediche… ai quali si alternano i comunicati stampa di un misterioso assassino che continua ad uccidere gli abitanti del quartiere.
A rompere la routine di questo loop ossessivo e claustrofobico, l’arrivo di Anna, un altro travestito, che spera di ricevere a casa della protagonista la sua telefonata ‘d’amore’. L’incontro di queste due esistenze ripudiate, pur nel loro comico dissertare di figli, matrimoni e mestruazioni, amplifica il senso di solitudine e disperazione che aleggia durante tutta la vicenda, fino a far piombare Jennifer, rimasta sola, in un vortice di angoscia sempre più soffocante, che culmina nello spiazzante e tragico epilogo.

Bravissimi i due interpreti. Daniele Russo dà una grande prova d’attore, arricchendo Jennifer con misurati chiaroscuri, originali e emozionanti. Sergio Del Prete nella messinscena interpreta con grande maestria non solo il ruolo di Anna, ma la presenza, diafana o struggente, grottesca o accorata, che si muove quasi ininterrottamente intorno alla dimora del personaggio principale, del quale diventa alter ego, contrasto, doppio, amplificando l’interiorità di quel mondo che valica i confini dell’appartamento.
E si deve al sapiente intuito di Gabriele Russo, che firma una regia elegante e innovativa, l’invenzione di quella figura, diafana o impetuosa, che ruota intorno al dramma amplificandone il senso, e assente nel copione originale. Forse, solo in alcuni momenti, lo spettacolo si sofferma in passaggi, simbolici e privi di voce, che causano qualche momento di stanchezza, così come l’eccessivo manierismo nel quale indugia talvolta la recitazione.
Nel complesso uno spettacolo dal grande impatto emotivo, che rende merito alla maestria di un autore prestigioso, dimostrando per l’ennesima volta il valore e la modernità delle sue opere. Da vedere.