

Antonella Sicomero una bambina di 10 anni di Palermo, si chiude in bagno dicendo ai suoi di voler fare la doccia insieme all’inseparabile amico smartphone. In realtà mentre fuori dalla porta del bagno la vita della sua famiglia scorre nella normalità, lei accede al suo social preferito Tik Tok e da luogo all’ennesimo video in cerca di like e condivisioni. Con ogni probabilità intende accedere alla Blackout Challenge, una sfida che invita gli utenti a porre in essere comportamenti che li portino appunto verso l’oscurità. Si lega intorno al collo la cintura dell’accappatoio e poi la lega al termosifone riprendendosi con il suo telefonino per poi, probabilmente pubblicare il video su tik tok. Ma qualcosa va storto e da quella morsa non riesce a liberarsi. Va in asfissia e la ritroverà la sorellina più piccola. A quel punto la corsa verso l’ospedale, il dramma della famiglia, la rianimazione ma le condizioni troppo critiche cui farà seguito la morte.
E così l’Italia piange l’ennesimo figlio rubato dalla rete e sprofondano nell’angoscia tutti i genitori e coloro che oggi si trovano ad affrontare la sfida di crescere un bambino, un adolescente.
Lo chiamano “gioco” i ragazzi, inconsapevoli che dell’intrattenimento a scopo ricreativo che accompagna la crescita e lo sviluppo delle capacità umane questo “gioco” non ha proprio nulla. La solita challenge, una sfida competitiva, non finalizzata a nulla se non ad un esibizionismo che più che narcisistico, nel caso dei preadolescenti, può dirsi incosciente e folle. Si rianima quindi, e ancora, il mondo degli adulti tra chi brama alla chiusura di tutti i social network (ipotesi impossibile), chi auspica di trovare un colpevole (si indaga sull’ipotesi di istigazione al suicidio), chi si defila assurgendosi a genitore perfetto che vigila costantemente sul telefonino del figlio (come se ciò bastasse a proteggerlo), chi incolpa la mancata riapertura delle scuole, chi il virus, chi la mancanza di valori tra i giovani (come se poi fossero ben definiti e fortemente radicati negli adulti), chi incolpa l’innovazione tecnologica, chi invoca il Duce.
La verità è che l’intervento delle istituzioni in questo settore tarda oramai da troppo tempo ad arrivare. Manca la volontà di porre in essere azioni a supporto delle famiglie e soprattutto dei giovani, lasciati da soli a dover affrontare quello che, in assenza di regole rigide, sta diventando un vero e proprio serial killer digitale: lo smartphone.
Manca addirittura la nomina del Garante Nazionale a tutela dell’infanzia e dell’adolescenza, posto vacante da mesi, per via delle trafile e dei mancati accordi politici non certo della pandemia invocata troppo spesso come causa di tutti i mali.
Ci vuole una legge che vieti l’uso degli smartphone al di sotto dei 14 anni (non si regala alla comunione laddove il dono più grande è solo acquisire la consapevolezza dell’amore assoluto verso il prossimo)e che conceda l’uso ai minorenni solo se dimostrino di aver compreso le regole che devono seguire prima di approcciarvisi. Esattamente come la patente per chi vuole guidare. L’educazione digitale deve essere introdotta nelle scuole fina dalle scuole primarie in un percorso che poi accompagnerà i ragazzi ad ambire al mezzo scoprendone gli infiniti usi positivi ma anche gli infiniti abissi in cui li può condurre.
E poi è necessario educare i genitori. Non esiste alcuna fiducia, chi ha scelto di consegnare il mondo del web a un bambino indifeso o a un preadolescente, deve effettuare una continua attività di monitoraggio e controllo sui contenuti cui accede il minore. In questo aiuta anche l’algoritmo dei social stessi che a seconda dei contenuti cui fanno accesso gli utenti ne tracciano da subito un profilo, offrendone continuamente di simili (giocando sul gradimento che rapisce l’attenzione). E così è fin troppo facile capire di cosa si sta nutrendo la mente di tuo figlio. A quel punto le azioni da mettere in campo, in caso di scoperta di contenuti quali queste folli challenge diventano molteplici, non da ultimo vagliare percorsi di consapevolezza e di supporto psicologico. Insomma non ci limitiamo ad essere tristi per qualche giorno per il fatto che una giovane bellissima vita ci ha lasciati, sollecitiamo la politica ad agire concretamente e soprattutto agiamo noi famiglie, genitori, insegnanti, educatori. Mettiamo in campo iniziative per ristabilire l’equilibrio tra la noia e il nostro ruolo. Impegnamoli questi ragazzi in attività che portino la loro attenzione verso altro che possa offrirgli emozioni come quelle vissute approcciandosi ai giochi di un tempo, quando per incontrarsi in cortile ci si doveva chiamare dalle finestre o bussando ad una porta vera.
Federica Mariottino
Federica Mariottino è un Avvocato, mamma di tre figli, vive a Napoli. Nel 2019 ha fondato e presiede l’Associazione “31Salvatutti” che si occupa di prevenzione al disagio giovanile nelle sue più svariate forme, tra cui oggi oltre alla dipendenza dall’alcol, vi è quella dalle sostanze psicotrope, dagli smartphone, e poi non da ultimo le ludopatie. L’Associazione propone incontri nelle scuole e percorsi esterni di consapevolezza e formativi per genitori e figli sulle tematiche attinenti all’oggetto sociale avvalendosi di volontari professionisti del settore e storyteller.