
Sono rimasti con il cuore in gola gli spettatori – sfioravano il milione – che venerdì 22 dicembre hanno assistito all’esecuzione di Ciro Di Marzio (Marco D’Amore) per mano di Genny Savastano (Salvatore Esposito), inseparabile compagno a cui ha insegnato a muovere i primi passi sulla strada che porta alle vette più alte del Sistema.
In un finale di stagione pieno di capovolgimenti, questo colpo di scena delude i fan più fedeli alla coppia Ciro-Genny, alleati in quest’ultimo capitolo della saga a un nuovo gruppo emergente di Forcella, i talebani capeggiati da Enzo Sangue Blu (Antonio Musella).
Eppure, anche se si spegne il televisore con rabbia sfiorati dal pensiero di voltare le spalle alla stagione che verrà, fortemente risentiti verso gli sceneggiatori di puntata Leonardo Fasoli e Magherita Ravagli, ma anche verso lo stesso Roberto Saviano che ha scelto di sacrificare uno dei suoi personaggi migliori, se si riesce a mettere da parte tutte le emozioni che questa morte suscita ci si accorge che non poteva esserci fine diversa.
Non poteva esserci altro epilogo per Ciro l’immortale, Iago contemporaneo che di stagione in stagione riesce a cavarsela perché astuto, calcolatore, con il sangue gelato nelle vene.
“Perché ten sia a’ cap che e’ pall”.
E non solo perché il suo personaggio non aveva più ragione di essere, stritolato dal senso di colpa dell’aver ucciso sua moglie Debora e di aver causato la morte della figlia Maria Rita, reso uno strumento di morte e potere nelle mani di Gennaro Savastano.
Non è solo questo.
Ci sono anche delle ragioni meta-narrative per cui Ciro di Marzio doveva morire.
E Saviano sceglie di sopprimerlo nell’unico modo possibile in una serie che racconta il male dal punto di vista del male: è il Sistema stesso che lo schiaccia tra i suoi meccanismi, secondo logiche di vendetta e interesse che non risparmiano nessuno. Nemmeno gli Immortali.
Ciro per quanto amato dal pubblico, bello e apparentemente infallibile, alla fine perisce come tutti in un mondo in cui nessuno si salva. Mai.
La sua uscita di scena può mettere a tacere tutti coloro che puntano il dito contro Saviano Sputtanapoli e che vedono nella fiction un pericolo reale di emulazione, soprattutto da parte degli spettatori più giovani.
Il sacrificio di Ciro Di Marzio può essere anche una risposta alle dichiarazioni recentemente rilasciate da Luigi De Magistris al programma Rai Radio 1 Un Giorno da Pecora, condotto da Geppi Cucciari e Giorgio Lauro.
«Al di là dell’opera d’arte, su cui ognuno la può pensare come vuole, mi preoccupa molto, da sindaco, da genitore e da ex magistrato, l’emulazione che diversi ragazzi fanno nell’imitare i personaggi negativi quasi come se diventassero positivi o simpatici. Si perdono i punti di riferimento quelli veri della vita, e questo è pericoloso. L’ho riscontrato molto, ne abbiamo parlato anche nel comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica. La sera dopo il serial aumentano anche le stese». Tratto dal quotidiano “La Repubblica”, di seguito il link dell’articolo:
http://napoli.repubblica.it/cronaca/2017/12/20/news/gomorra_de_magistris_la_sera_dopo_la_serie_
aumentano_anche_le_stese_-184736844/
Se il sindaco avesse ragione, la fine di uno dei personaggi più amati e seguiti della serie dovrebbe avere un effetto educativo sugli spettatori a rischio, mostrando loro che il crimine non paga per nessuno.
Come se la rappresentazione del male portasse a commettere il male e il problema non fosse figlio del degrado del territorio e del vuoto lasciato dalle strutture statali, che rendono la criminalità organizzata l’unica alternativa concreta perché realmente accessibile ai giovani e con prospettive di guadagno a breve termine.
Chi ha provato orrore davanti al distacco con cui nella serie si esercita la violenza per perseguire potere e denaro, continuerà a provare orrore.
Per chi invece, ha trovato in Ciro un personaggio da emulare, nonostante l’Immortale paghi il potere e il denaro con il proprio sangue, questo finale di stagione illumina cosa si nasconde in fondo al mare della criminalità.