
Dopo due mesi di repliche al Piccolo di Milano e la tournée al Teatro Athénée di Parigi, dal 24 gennaio al 12 febbraio il Bellini di Napoli si trasforma in un’enorme scatola barocca nella quale viene ricreato un teatro parigino degli anni ʼ40 che ospita le prove di Elvira, quarto atto del Don Giovanni di Molière.
L’Elvira diretta da Tony Servillo e tradotta da Giuseppe Montesano, è una scatola cinese che contiene il testo Elvire Jouvet 40 di Brigitte Jacques, basato a sua volta su sette lezioni che l’attore e regista Louise Jouvet tenne a una Claudia, sua alunna ed interprete designata per Elvira.
Per certi sensi, Elvira costituisce l’operazione uguale e contraria fatta da Pirandello nella Trilogia del teatro nel teatro e in particolare nei Sei Personaggi in cerca d’autore, con la differenza che nelle lezioni di Jouvet sono gli attori a cercare i personaggi. Ma forse qui ci si è addirittura spinti oltre il metateatro.
“Non si tratta di una arida materia teatrale, ma del racconto di un maestro e una allieva in un fecondo confronto generazionale. Si parla di disciplina, di cosa sia fare i conti con le parti più profonde di se stessi per migliorarci”, spiega Servillo.
Un’avventura tra maestro e allieva che si addentrano nel territorio sconosciuto del personaggio, in cui attraverso il teatro entrambi insegnano e apprendono qualcosa in più su loro stessi e sulla vita. Così, davanti al percorso artistico e interiore del regista e dell’attrice, Don Giovanni e Sganarello quasi spariscono, messi in ombra dalla continua ripetizione delle parole d’addio e di redenzione di Elvira all’ amato e finiscono per esistere sono in relazione alle battute di Claudia.
Servillo nei panni di Louise Jouvet spiega ai suoi allievi – interpretati da Petra Velentini, Davide Cirri e Francesco Marino – e al pubblico il difficile mestiere dell’attore fatto di costante approfondimento di sé stessi per arrivare al personaggio, ma soprattutto di disciplina.
Jouvet dice agli allievi, “Avrete imparato qualcosa il giorno in cui avrete la consapevolezza interiore che ciò che siete è in relazione a ciò che fate. In quella corrispondenza c’è la chiave della vita, non solo del teatro”.
Lo spettacolo-lezione diventa a tutti gli effetti un inusuale laboratorio attoriale offerto a una platea tanto gremita quanto variegata: attori e addetti ai lavori si mescolano a spettatori profani, solitamente più concentrati sulla resa scenica che sul lungo lavoro che tale resa richiede.
“La tecnica che non viene dal sentire è banale, il teatro è sentimento. Recitare è l’arte di smuovere la propria sensibilità”.
Ed Elvira ieri sera ha smosso quella del pubblico.