
Inghilterra, 1961: il giovane Alex e i suoi amici, meglio noti come i drughi, seguono una sola regola: quella di anteporre a qualsiasi gesto la violenza fine a se stessa, colorando di “salsa rossa” il grigio scorrere delle proprie esistenze. Italia 2014: un gruppo di ragazzi sevizia un coetaneo all’interno di un autolavaggio perché troppo grasso, procurandogli lacerazioni nell’intestino. Negli anni’60 quando Anthony Burgess scrisse il romanzo avanguardistico “Arancia Meccanica” si parlò di un’opera fantapolitica, distopica per i temi trattati e anche quando Kubrick decise di trasporlo sul grande schermo negli anni ’70 non mancarono reazioni piuttosto forti. Oggi la scelta di portare un testo tanto dibattuto in teatro, come ha fatto Gabriele Russo al Bellini di Napoli nella prima andata in scena ieri 18 novembre, si inserisce in uno scenario ancora nuovo ma già macchiato dalla brutalità ordinaria. A distanza di anni la visionarietà di Burgess rimane senza dubbio intatta, se non tristemente trasformatasi in realtà. Ma andiamo con ordine. In scena oltre ad Alex (interpretato da Daniele Russo) e i fidi drughi (Alessio Piazza e Sebastiano Gavasso) regna sovrana la presenza di un invisibile ma ben presente protagonista: l’occhio lungo del grande fratello Stato che manipola come una marionetta i suoi burattini dall’anima in fondo fragile e dalla precarietà emotiva.
La parabola discendente della trama parte dall’episodio scatenante, motore dell’azione. Dopo aver usato violenza alla moglie di uno scrittore Alex finisce in carcere, individuato come unico colpevole dell’atto, nonostante la presenza e complicità dei suoi “scagnozzi”. Nella “gattabruna”, così chiamata in virtù dello slang proprio del testo, il giovane viene sottoposto alla dura vita del carcere e trova conforto solo nella bonaria figura del prete.
Ma a persistere, ancora per poco, è l’istinto di sopravvivenza e quindi pur di essere scarcerato, Alex accetta il “Trattamento Lodovico” che consiste nell’assistere a filmati di violenza che replicano le sue gesta. Si tratta di un’induzione coatta che lo rende spettatore delle sue gesta in quanto attore della più brutale coercizione e sottrae ogni possibilità e volontà di discernimento.
Ma ciò che genera un irrefrenabile disgusto in lui sono le note del tanto amato Beethoven che, se prima erano l’accompagnamento ideale alle sue spedizioni punitive, ora generano al suo animo mortificato solo un nauseabondo malessere. Quando infine il giovane viene scarcerato, scopre che i genitori hanno subaffittato la sua stanza e dunque finirà in pasto alle sue vittime che, in un ribaltamento di ruoli, si trasformano nei suoi aguzzini. Nella messinscena quasi televisiva di Russo c’è tanto, forse troppo.
Dalle mega mammelle fluorescenti e perlacee da cui Alex e compagni succhiano il siero materno misto al fiele del male, passando per l’astrattismo ribaltato dell’inquietante focolaio domestico che nasconde il doppio fondo del moralismo bigotto, tutto è estremamente ricercato e al contempo spettacolare. Così come lo sono i toni, il linguaggio e le musiche coadiuvate dal supporto ad hoc di Morgan, così come di certo lo era nelle intenzioni dell’autore. Ma se allora l’enfasi era l’unico mezzo per fare passare il grido di denuncia di una società malata, anestetizzante della libertà di scelta individuale, oggi sarebbe stato opportuno forse soffermarsi sulle parole, sul verbo asciutto ed essenziale che troppo spesso durante la rappresentazione rischia di rimanere schiacciato dalla cornice ridondante che lo circonda.
Sembra a tratti di essere in un Truman Show mediatico eccessivamente dissonante, ma si apprezza comunque il coraggio del regista e del cast di avvicinarsi ad un opera quasi “intoccabile” forse più adatta per sua natura al piccolo schermo che al palcoscenico, perché prendendo a prestito una citazione del film: “E’ divertente vedere come i colori del mondo diventino reali solo dopo che li hai visti sullo schermo”.
“Arancia Meccanica”, Napoli Teatro Bellini, dal 18/11 2014 al 30/11/2014
con:
Alfredo Angelici Martina Galletta Sebastiano Gavasso Giulio Federico Janni Alessio Piazza Daniele Russo Paola Sambo
costumi:
Chiara Aversano
scene: Roberto Crea
disegno luci: Salvatore Palladino
di: Anthony Burgess
Musiche: Morgan
Regia: Gabriele Russo