Per chi preannunciava un sicuro fallimento del sequel di quello che è stato un film cult degli anni novanta, si deve ricredere, perché Trainspotting 2 è un film con una rinnovata energia che racconta il prosieguo della storia che avevamo lasciato alla fine del primo capitolo e le conseguenze psicologiche di una vita senza freni e spesso vuota. Mark Renton, interpretato da Ewan McGregor, torna a casa a Edimburgo , dopo venti anni nella capitale, scontrandosi con il suo vecchio amico Sick Boy che non lo aveva ancora perdonato per la fuga col malloppo di 16 mila sterline. L’antagonismo dura poco perché i due trovano un’inusuale compromesso, progettando un nuovo piano criminale, che tuttavia incontra disparati ostacoli, prima di tutto il rancore di Begbie.
Quest ultimo, uscito di prigione, non ha lasciato i vizi della gioventù, e sa che per lui è troppo tardi per cambiare strada e l’unico modo per chiudere i conti con quel passato che ancora gli pesa, è affrontare Renton. Intanto Spud lotta contro la sua dipendenza dagli stupefacenti e sarà proprio l’amico ritrovato a indicargli una via alternativa. Una nota nostalgica si avverte con flashback di scene che lo spettatore conosce bene e soprattutto con il vinile di Iggy Pop che Renton rispolvera alla fine del film, ricordando gli errori ma anche l’avventatezza della giovane età, che gli procuravano un senso di ribellione e libertà.
Venti anni dopo il regista Danny Boyle si cimenta con i problemi di una generazione che non ha mai trovato la propria strada e che solo alla fine comprende che l’unico modo di risolverli è non fuggire da se stessi e fidarsi di coloro che nel bene e nel male sono sempre stati presenti. Il monologo di Renton si è trasformato da una manifestazione di cinismo a una di rassegnazione, un elenco di tutto ciò che spersonalizza la persona oggi e la rende uguale agli altri, e l’esito malinconico è sempre lo stesso: la solitudine che accompagnava i quattro ragazzi di Edimburgo li attanaglia ancora oggi.