
Googla che ti passa.
Quasi nove italiani su dieci si affidano al web, e in particolare al motore di ricerca più famoso (Google), quando sono in cerca di diagnosi e cure per la propria salute. E il dato ancor più scioccante, è che ben più della metà di essi non considera affatto il rischio di incappare in clamorose bufale online.
Questo il risultato del sondaggio commissionato da Ibsa foundation for scientific research e presentato oggi a Roma in occasione del workshop E-Health tra bufale e verità: le due facce della salute in rete, promosso insieme a Cittadinanzattiva.
Cybercondria. Così viene definita la versione tecnologica dell’ipocondria, ovvero la tendenza ossessiva ad affidarsi a dott. Google nella speranza di trovare informazioni mediche per porre rimedio ai propri disturbi. A esserne affetto, oggi, è più dell’88% degli italiani, di cui il 93,3% donne. Il risvolto altamente deleterio di questo fenomeno non può essere sottovalutato, non se si considera che quasi un utente su due si affida avventatamente ai primi risultati dei motori di ricerca senza vagliarli con risolutezza, o si lascia incantare dalle migliaia di pseudo terapie circolanti sui social network senza accertarsi della veridicità delle fonti. «L’enorme possibilità offerta dalla rete in tema di disponibilità di informazioni può trasformarsi in un pericolo se gli utenti non sono in grado di valutare l’affidabilità di quello che trovano – spiega Silvia Misiti, direttore della Ibsa foundation for scientific research – Questo è tanto più vero quanto più sono delicate le aree oggetto delle ricerche».
Non tutti però si rivolgono alla rete con la medesima base di stima e/o aspettativa. Incrociando i dati relativi alla frequenza dell’utilizzo del web nella ricerca di informazioni sulla salute e il grado di fiducia della rete stessa emerge, infatti, come la fascia di età più avanzata, ovvero gli ultra 65enni, sia invero la più diffidente, anche perché generalmente meno propensi all’uso della tecnologia ma più affezionata alle metodologie della tradizione. All’opposto, gli users più ingenui e sprovveduti risultano essere i 45-54enni. In età giovanile, invece – 24-34 anni – si tende a non escludere la consultazione del web ma ad accompagnarla alla giusta dose di circospezione e cautela.
A fare la differenza, spesso, è anche il livello di istruzione. La ricerca ha infatti dimostrato che i più incalliti cybercondriaci sono proprio i laureati, ben il 96% contro il 24,5% di chi non è andato oltre la licenza elementare. «È soprattutto quando il cittadino è a caccia di informazioni sulla salute sul web, e questo accade sempre più spesso, che le nozioni di base diventano l’unica arma per difendersi da informazioni parziali o scorrette», spiega Antonio Gaudioso, segretario generale di Cittadinanzattiva.
Imparare a difendersi dalle bufale in rete non è una sfida impossibile. A dimostrarlo è il primo decalogo di Health literacy, messo a punto da Cittadinanzattiva. Tra i consigli ritroviamo: l’importanza di prestare massima attenzione alle fonti, privilegiando le pagine ufficiali di organizzazioni riconosciute; fare attenzione a forum e blog, non lasciarsi abbindolare da siti che suscitino empatia ma che risultino di fatto privi di affidabilità scientifica; verificare la data di pubblicazione dei contenuti che potrebbero non essere più attuali. E ancora: affidarsi sempre ad un vero professionista, accertarsi di comprendere a pieno la finalità delle analisi a cui ci è sottoposti e il contenuto e lo scopo dei farmaci prescritti. Perché, come ricorda Gaudioso «Maggiori competenze significano anche un migliore rapporto tra medico e paziente. Un circolo virtuoso che spesso si traduce in una terapia più efficace e quindi una salute migliore. È una materia di cui in Italia si parla ancora troppo poco ma che ha e avrà una rilevanza sempre maggiore».