Venticinquesima di rubrica pallonara riguardante Napoli e Avellino, le compagini campane meglio iscritte nella gerarchia dei campionati nazionali di pedata. Meglio messe ma in difficoltà, per quanto trattasi di difficoltà di alta classifica e quindi niente di gravemente preoccupante. Gli azzurri infatti pareggiano in casa contro l’Atalanta e scalano di due posizioni nella generale, all’indietro però: da terzi a quinti. I verdi invece perdono proprio, in casa contro il Perugia, e così facendo pure loro il passo del gambero, da terzi a quarti nella generale. Dopo questo giro il cammino del Napoli verso l’obiettivo del secondo/terzo posto si complica non poco, stante i cinque/sei punti di ritardo da quell’obiettivo. Il cammino dell’Avellino pure si complica, epperò complicandosi meno urgentemente vista l’assenza di obiettivi ufficiali e inderogabili. Invero l’obiettivo ormai inderogabile dell’Avellino consiste nell’ingresso nei play-off, possibilmente in posizione buona per sfruttarne al dunque i vantaggi del regolamento, e in tal senso nulla sembra compromesso. Fatto sta che le rispettive fetecchie casalinghe portano Napoli e Avellino a ripensare agli errori di gioco e a quei difetti di squadra a questo punto ineliminabili, e soprattutto portano i fedeli del ciuccio e del lupo a deprimersi un po’ e ad annacquare quegli entusiasmi che tanto bene fanno all’umore generale delle parrocchie nonché a quello dei tesorieri nel conteggio delle offerte da biglietto.
L’Avellino, dopo una partita condotta quasi alla vittoria, finisce col perdere e coll’amaramente guastarsi il sabato. Il Perugia, l’avversario di turno, resta sotto di un gol fino a cinque minuti dalla fine, quando trova l’azione del pareggio e con esso la sveltezza di capire lo scoramento dell’Avellino e la possibilità di cercare il gol della vittoria. Gol che arriva, crudele come una sentenza, al secondo di recupero. Gol che arriva nell’improvvisa rassegnazione del pubblico di casa, che capito ha l’improvvisa rassegnazione dei propri pedatori nell’andazzo della vicenda e di fronte ad Eupalla ostile. Il gol dell’illusorio vantaggio lo aveva siglato nel primo tempo, al minuto 28, ancora una volta Marcellino (Trotta), l’attaccante capuano sempre più gladiatore della prima linea, di capoccia e su ottima personale con passaggio di Zito. Prima del gol di Marcellino era il Perugia a giocare decisamente meglio. Dopo il gol di Marcellino l’Avellino ha preso a giocare con minore paura e il Perugia con minori spazi. E così sembrava che mastro Massimo Rastelli potesse impostare la partita sulla tattica a lui più congeniale, difesa e contropiede. E in effetti così era. E così il Perugia incontrava difficoltà a creare pericoli per la porta del portiere nero e l’Avellino, di rimessa, aveva le migliori occasioni. Insomma partita non bella ma tirata, emozionante per l’esito comunque non acquisito. Mastro Massimo si divertiva una cifra a difendersi in tanti e a ripartire in pochi, addirittura in solitario con Kone che trovava la breccia nello schieramento avverso ma non riusciva a segnare il raddoppio giunto a tu per tu col guardiaporta sloveno Koprivec, che vinceva il duello. La contesa sembrava nei piedi e nei garretti dei nostri, fino a quando il senso della difesa di mastro Massimo ne travolgeva l’equilibrio psicologico e lo induceva a sublimare la difesa per tramutarla in catenaccio; mastro Massimo toglieva dal cimento i due centrocampisti d’assalto (Sbaffo e Zito) per mettere dentro due terzini, e toglieva pure Gigione per il pesante Mokulu. Il catenaccio però mal riusciva, con la squadra che andava formandosi in otto santissimi difensori (nove col portiere) e due attaccanti dimenticati da dio. Come detto arrivavano i gol del pareggio e del sorpasso perugino, entrambi fatti dal perugino di provincia Falcinelli, entrato a inizio ripresa in luogo del più noto Ardemagni. Mister Camplone allenatore del Perugia aveva un soprassalto di gioia che lo sbalzava in campo mentre i suoi trecento ultras di rosso vestiti esultavano e cantavano. Gli altri settemila del Partenio-Lombardi restavano attoniti…Ragazzi, non molliamo proprio adesso!
Il Napoli di Rafelone Benitèz, nella giornata di campionato di serie A in cui le televisioni a pagamento fanno la prova generale per eliminare del tutto dalle domeniche dei pallonari il rito del pomeriggio, pareggia contro l’Atalanta del grande ex Edy Reja, allenatore di sostanza e uomo ugualmente. Il Napoli al San Paolo ha giocato una partita non bella, non appropriata, non armoniosa, non collettiva, ma nemmeno fortunata. L’Atalanta si è difesa a oltranza, e questo si sapeva già da prima. Dal Napoli ci aspettavamo qualche variante di gioco buona per sorprendere il blocco difensivo atalantino, e invece per tutto il primo tempo il Napoli contro quel blocco ci è andato a sbattere, dando quasi l’impressione di sbatterci a occhi chiusi, ché sbattendoci qualcosa sarebbe successo prima o poi. Non succedeva nulla, se non un’unica occasione concreta da gol su capocciata di Britos, da corner, respinta a cose quasi fatte dall’ex tanto rimpianto a Napoli German Denis. Solo nel secondo tempo il Napoli sembrava decidersi ad attaccare l’Atalanta con più soluzioni, e nei primi dieci minuti della ripresa ottime occasioni avevano Gonzalo e De Guzman (palo), intervallate da un bel tiro franco di Gabbiadini. Al minuto 55 l’arbitro espelleva per doppia ammonizione l’argentino Gomez e l’Atalanta, in dieci uomini, doveva solo crollare con dignità. Invece con dignità l’Atalanta passava in vantaggio, su iniziativa del cileno Pinilla a disturbare Henrique in precaria corsa all’indietro. Pinilla forse faceva un fallo su Henrique, ad ogni modo si prendeva il pallone e superava Andujar in uscita. A questo punto preferiamo fermarci nella cronaca della partita. Ci limitiamo a scrivere che il Napoli è per forza andato all’arrembaggio, che un altro ex non tanto rimpianto a Napoli, Cigarini, ha salvato un altro gol sulla linea, che Hamsìk negli ultimi minuti si è trovato la giusta posizione in campo e ha prima consentito a Zapata di pareggiare e poi sfiorato il gol personale con un tiro dei suoi. Finiva uno a uno e con Rafelone giustamente cacciato dal campo per proteste. Ed eccoci alla questione. Le squadre non erano nemmanco rientrate negli spogliatoi che già su twitter il padrone del Napoli cominciava a sparare a zero contro l’arbitraggio e, allargando il tiro con obiettivo Lotito e la Lazio squadra migliore delle seconde, la dirigenza nazionale della politica pallonara. Arbitraggio falsante il campionato, era la costipata analisi del padrone, e “In Inghilterra questo non sarebbe successo” la chiosa. Cosa cavolo c’entrasse l’Inghilterra proprio non si capiva…Rafelone al cospetto dei cronisti aumentava il casino contro l’arbitro e i suoi assistenti, e sobillava la stampa locale ad unirsi alla solfa sguaiata nel tentativo di dare la colpa a tutti tranne che ai principali responsabili, vale a dire se medesimo e i suoi giocatori. Tutto per un gol subito (forse) viziato da fallo contro una modesta Atalanta in inferiorità numerica. Non tutta la stampa di parte raccoglieva l’offerta corruttiva di Rafelone…
Rafelone Benitèz è cristiano palesemente nervoso, si rende conto che i risultati in campionato cominciano a essere deludenti, allora come un politico politicante cerca di trovare scuse e giustificazioni inventandosi contingenze meschine a intervenire contro il suo superiore progetto internazionale. Rafelone in due anni non ha dato al Napoli il gioco (stabile e continuo) promesso, questo è quanto. Ma a parere di chi scrive francamente insopportabile è che Rafelone, ogni volta che perde o pareggia, dà la colpa all’arbitro. Noi sfottevamo Mazzarri, ma questo piange pure peggio!
A proposito di campionati realmente falsati, Moggi e Giraudo vengono prescritti dalla Cassazione, non prosciolti. Finisce il processo “calciopoli”, finisce in prescrizione (cioè penalmente in vacca) il più grande scandalo della pedata nazionale. Da domani risuoneranno le solite fanfare e dovremo prepararci al grande ritorno di tutti i prescritti.