L’orgoglio cattolico LGBT (sigla burocratica che, per quei vecchi libertari del linguaggio che ancora non lo sapessero, sta per lesbiche-gay-bisex-trasgender) irrompe fra i monti dell’Irpinia e cerca purificazione scenografica al cospetto di mamma schiavona. E’ a cannelora ri femminielli o “candelora day”, pastrocchio inglesizzante usato per indicare il rinnovato rito antico dei “femminielli” in pellegrinaggio alla madonna di Montevergine. Rito antico davvero, mica invenzione dal marketing territoriale, visto che le origini della processione chiacchierata si perdono nella notte dei tempi dell’impero romano. Prima di Cristo e dell’invenzione del cristianesimo, quando a dominare l’ansia di sovrannaturale era il paganesimo originale. Proprio nell’odierna Montevergine, 1500 metri di roccia calcarea a fortificare la conca del fiume Sabato, (anche) secondo Virgilio esisteva un tempio in onore di Cibele, dea anatolica (ben “piazzatasi” anche a Roma) della natura, protettrice dei campi, dell’agricoltura e di tante altre cose…[divider]Ebbene, cronaca catulliana vuole che i sacerdoti di questa dea importata dalla Frigia, i coribanti, ritualmente si avvicinavano al suo tempio suonando e cantando in un’estasi scandalosa di travestimenti, accoppiamenti pubblici e colpi bassi, nel senso di basso pube, fino ad evirarsi e offrire il proprio gioiello alla grande madre Cibele. Che cosa la grande madre se ne facesse non ci è dato di sapere, ma immaginare una collezione di gioiellini maschili insanguinati e putrefatti sull’altare del tempio fa tanto shock art (Roma) repubblicana. Tutto immerso in una sfilata di casinari dalle tuniche inguinali e dalle smorfie provocanti. Era il gay pride, solo che loro (che poi saremmo proprio i noi di allora) lo chiamavano in altro modo…[divider]
Qualche dozzina di secoli più tardi, a paganesimo ormai ingloriosamente finito e cristianesimo ormai gloriosamente trionfante, quando la nuova destinazione d’uso imposta al monte da fra’ Guglielmo da Vercelli era già la chiesa dedicata alla madonna, una nuova leggenda, stranamente in sintonia con le passate usanze del luogo, cominciava a narrare di un miracolo compiuto dalla vergine del monte, nell’anno 1256 o giù di lì. L’occasione miracolosa fu offerta da due giovani(ssimi) ragazzetti che, in seguito allo scandalo provocato dalla loro relazione “morbosa”, vennero legati a un albero dall’autorità e abbandonati a morire sulla montagna di stenti e di prime colazioni di lupi stagionati. Probabilmente si trattava di tipica omosessualità adolescenziale o transitoria, ma gli spicci servizi sociali minorili dell’epoca neanche fecero l’ipotesi. Mamma schiavona evidentemente sì, e intervenne a slegare i ragazzi e con loro la corda della persecuzione. Quale fine abbiano fatto i due ragazzi dopo essere stati liberati non si sa con certezza, ma una fonte accreditata dal movimento LGBT parla di un loro matrimonio segreto, celebrato dinanzi al cappellano militare del ghibellino Manfredi di Sicilia in armi a Benevento. Ad ogni modo, l’eco del miracolo si diffuse in tutta la zona fino al mare di Napoli, e facilmente interpretato come un messaggio di tolleranza sociale; da allora i femminielli di Napoli e (cospicui) dintorni diventarono devotissimi di mamma schiavona che non a caso “tutto permette e tutto perdona”.[divider]
Nell’attuale e secolarizzato 2 febbraio di Montevergine si mescolano tante cose più o meno collegate: riti pagani, riti cattolici, barlumi di carnevale, canti popolari e quel poco che rimane di situazionismo di sinistra (rifondaiola e simili), fino a deificare una candelora di rivendicazione politico/sociale e di sue militanti baldorie, che sinceramente poco hanno a che fare con le candele e tanto con gli smart-phone scatta istantanee. Sulla montagna nebbiosa oggi salgono tutti gli epigoni dell’orgoglio non etero, sicuramente anche chi in chiesa prima e dopo l’evento non ci mette piede neanche per sbaglio. Epperò non ci salgono a piedi o a dorso di mulo, come tradizione vorrebbe, ma trasportati da automobili e pulmini ansimanti. Qualcuno ansima di brutto anche sull’ultima rampa (necessariamente) a piedi e in salita, e fra un’imprecazione e l’altra ha anche la trovata geniale di accendersi una sigaretta. C’è poco da fare, al mare ci si abitua in fretta, ma la montagna è solo per i montanari.
Famosa, nonché controproducente per l’immagine pubblica della chiesa romana più conservatrice, la dura presa di posizione dell’allora abate Tarcisio Nazzaro nel 2002, in quella che è passata alle cronache locali come “la cacciata dal tempio dei femminielli”. Lo stesso abate, “capo” del monastero, uscì in solitario sul sagrato ad affrontare e bloccare fisicamente il gruppo di diversamente devoti, non ancora traboccante come oggi ma comunque nutrito. C’è poco da contestare, l’abate Nazzaro era uno che se ne fregava della comunicazione e che non le mandava certo a dire. Poi è invecchiato e le sua calante forma fisica evidentemente non gli ha più consentito di divertirsi in scontri e risse, così ha cominciato a rivolgersi alle forze dell’ordine. Come nel 2010, quando la processione dei femminielli (già abbondantemente arricchita da curiosi, politicanti locali, no-global e neo-tarantellari) venne fermata da poliziotti solerti dalle parti di Ospedaletto d’Alpinolo, identificata e poi lasciata passare con ragionato ritardo. Dopo quell’episodio, anche per non finire ogni volta sui giornali, i monaci benedettini di Montevergine hanno cominciato ad accogliere la congrega vociante con indifferente tolleranza. Basta anatemi e contumelie, come a dire noi vi facciamo esibire nella vostra rivolta in terzine e voi non ci tirate dentro nelle vostre rivendicazioni. Intanto anche l’abate è cambiato, e oggi le redini del monastero sono nelle mani più diplomatiche di padre Umberto Beda Paluzzi, già studioso dell’archivio segreto del vaticano…
Nella domenica passata il rito si è ripetuto, partecipato come mai. Forse troppo partecipato, secondo qualche purista addirittura inflazionato. Di questa idea probabilmente sarebbe stato anche Pier Paolo Pasolini che, nel 1960, venne a Montevergine per registrare le voci della candelora e farne colonna sonora del suo “Decameron”. Prima di lui anche Zavattini e De Sica vollero assistere da vicino ad una poetica candelora del dopoguerra, stavano lavorando a “L’oro di Napoli”…
Nell’edizione (il termine è appropriato) 2014, in tremila (trenta secondo i dati della questura…) nel primo pomeriggio sono saliti al santuario, sotto la pioggia fredda battente sui piumini vintage, in perfetto stile festa popolar/mondana. Una mondanità alternativa, di sinistra sinistrata, ma pur sempre mondanità. E pure una paganizzazione (nel senso di Pagani, la cittadina dell’agro nocerino) del rito, una madonna schiavona insolentemente ridotta a “pavanese” madonna delle galline.[divider] C’è il cosiddetto universo LGBT, con in testa Vladimir Luxuria, scrittrice di storie femminili abilmente coniugante la presentazione della sua ultima fatica letteraria in una scuola di Avellino con l’evento (più o meno) religioso. L’onorevole Vladimir, che col crudele passar degli anni assomiglia sempre di più al Joey Tempest degli Europe (simpatica cattiveria uterina raccolta sul campo), si presenta di rosso imbacuccata e armata di una lettera diretta nientepopodimenoche al papa. Il papa ovviamente è papa Francesco (non l’altro), adorato anche da Luxuria e soci per via delle sue aperture al terzo sesso. Qui in verità di sessi ce ne sono più di tre, ma non si può mica stare a sottilizzare. L’onorevole dell’atollo dei famosi, provata dalla scalata in automobile (!), dice di rimpiangere la funicolare. E te credo, la funicolare Mercogliano-Montevergine in sette minuti cavalcava un dislivello di 734 metri e ti filava dritto per dritto al santuario, prima che sciagurate diseconomie aziendali ne costringessero la chiusura a tempo indeterminato. Magari Vladimir poteva ricordarsi di rimpiangerla quando era ancora in Parlamento…Ad ogni modo Vladimir è un tesoro del movimento LGBT, e come tale il movimento la custodisce in uno scrigno. E’ anche una donna (o trans, fate voi) istruita, e quando parla effettivamente fa guadagnare consensi alle sue compagne di lotta e dignità di presenza all’intero microcosmo ondeggiante. Che la fede dovrebbe essere un diritto di tutti (i sessi) è uno slogan facile, spiegarlo con parole semplici ma non banali non è esercizio per tutti. La pasionaria del Tavoliere ci riesce benissimo, a parole, e noi a parole glielo riconosciamo.[divider] Altro volto noto è quello di Marcello Colasurdo, lui sì autentico femminiello, storico suonatore di tammorra e voce muezzin della nenia a mamma schiavona. Poi ci sono altri personaggi influenti del movimento LGBT ma è inutile farne l’elenco, il successo della giornata sta al contrario nella presenza di tante facce non altisonanti; allora non possiamo fare a meno di constatare che il movimento, visto il seguito di simpatizzanti che riesce a portarsi dietro in ogni sua iniziativa, male non farebbe a pensare di trasformarsi in movimento (del tutto) politico. Adescare l’ingresso nelle istituzioni e, da dentro, legiferare la propria identità. E’ vero che l’italicum elettorale partorito da “Renzusconi” non agevola l’idea, ma tentare una sortita potrebbe rientrare in una strategia di più ampia portata.[divider]Nelle zone a valle di mamma schiavona, la novità di questo e degli ultimi anni consiste nell’azzardo di trasformare la candelora in seminario prolungato sull’umanità gay e lesbo, con la partecipazione di associazioni appassionate e studiosi competenti, e così trasformare la morigerata Avellino in uno sperimentale gay village del sud. Ad Avellino e alla sua fama di città democrista tutto ciò non può fare che bene. A condizione, compagne e compagni, che non ce ne usciamo con le piattaforme democratiche…
Qualche dozzina di secoli più tardi, a paganesimo ormai ingloriosamente finito e cristianesimo ormai gloriosamente trionfante, quando la nuova destinazione d’uso imposta al monte da fra’ Guglielmo da Vercelli era già la chiesa dedicata alla madonna, una nuova leggenda, stranamente in sintonia con le passate usanze del luogo, cominciava a narrare di un miracolo compiuto dalla vergine del monte, nell’anno 1256 o giù di lì. L’occasione miracolosa fu offerta da due giovani(ssimi) ragazzetti che, in seguito allo scandalo provocato dalla loro relazione “morbosa”, vennero legati a un albero dall’autorità e abbandonati a morire sulla montagna di stenti e di prime colazioni di lupi stagionati. Probabilmente si trattava di tipica omosessualità adolescenziale o transitoria, ma gli spicci servizi sociali minorili dell’epoca neanche fecero l’ipotesi. Mamma schiavona evidentemente sì, e intervenne a slegare i ragazzi e con loro la corda della persecuzione. Quale fine abbiano fatto i due ragazzi dopo essere stati liberati non si sa con certezza, ma una fonte accreditata dal movimento LGBT parla di un loro matrimonio segreto, celebrato dinanzi al cappellano militare del ghibellino Manfredi di Sicilia in armi a Benevento. Ad ogni modo, l’eco del miracolo si diffuse in tutta la zona fino al mare di Napoli, e facilmente interpretato come un messaggio di tolleranza sociale; da allora i femminielli di Napoli e (cospicui) dintorni diventarono devotissimi di mamma schiavona che non a caso “tutto permette e tutto perdona”.[divider]
Nell’attuale e secolarizzato 2 febbraio di Montevergine si mescolano tante cose più o meno collegate: riti pagani, riti cattolici, barlumi di carnevale, canti popolari e quel poco che rimane di situazionismo di sinistra (rifondaiola e simili), fino a deificare una candelora di rivendicazione politico/sociale e di sue militanti baldorie, che sinceramente poco hanno a che fare con le candele e tanto con gli smart-phone scatta istantanee. Sulla montagna nebbiosa oggi salgono tutti gli epigoni dell’orgoglio non etero, sicuramente anche chi in chiesa prima e dopo l’evento non ci mette piede neanche per sbaglio. Epperò non ci salgono a piedi o a dorso di mulo, come tradizione vorrebbe, ma trasportati da automobili e pulmini ansimanti. Qualcuno ansima di brutto anche sull’ultima rampa (necessariamente) a piedi e in salita, e fra un’imprecazione e l’altra ha anche la trovata geniale di accendersi una sigaretta. C’è poco da fare, al mare ci si abitua in fretta, ma la montagna è solo per i montanari.
Famosa, nonché controproducente per l’immagine pubblica della chiesa romana più conservatrice, la dura presa di posizione dell’allora abate Tarcisio Nazzaro nel 2002, in quella che è passata alle cronache locali come “la cacciata dal tempio dei femminielli”. Lo stesso abate, “capo” del monastero, uscì in solitario sul sagrato ad affrontare e bloccare fisicamente il gruppo di diversamente devoti, non ancora traboccante come oggi ma comunque nutrito. C’è poco da contestare, l’abate Nazzaro era uno che se ne fregava della comunicazione e che non le mandava certo a dire. Poi è invecchiato e le sua calante forma fisica evidentemente non gli ha più consentito di divertirsi in scontri e risse, così ha cominciato a rivolgersi alle forze dell’ordine. Come nel 2010, quando la processione dei femminielli (già abbondantemente arricchita da curiosi, politicanti locali, no-global e neo-tarantellari) venne fermata da poliziotti solerti dalle parti di Ospedaletto d’Alpinolo, identificata e poi lasciata passare con ragionato ritardo. Dopo quell’episodio, anche per non finire ogni volta sui giornali, i monaci benedettini di Montevergine hanno cominciato ad accogliere la congrega vociante con indifferente tolleranza. Basta anatemi e contumelie, come a dire noi vi facciamo esibire nella vostra rivolta in terzine e voi non ci tirate dentro nelle vostre rivendicazioni. Intanto anche l’abate è cambiato, e oggi le redini del monastero sono nelle mani più diplomatiche di padre Umberto Beda Paluzzi, già studioso dell’archivio segreto del vaticano…
Nella domenica passata il rito si è ripetuto, partecipato come mai. Forse troppo partecipato, secondo qualche purista addirittura inflazionato. Di questa idea probabilmente sarebbe stato anche Pier Paolo Pasolini che, nel 1960, venne a Montevergine per registrare le voci della candelora e farne colonna sonora del suo “Decameron”. Prima di lui anche Zavattini e De Sica vollero assistere da vicino ad una poetica candelora del dopoguerra, stavano lavorando a “L’oro di Napoli”…
Nell’edizione (il termine è appropriato) 2014, in tremila (trenta secondo i dati della questura…) nel primo pomeriggio sono saliti al santuario, sotto la pioggia fredda battente sui piumini vintage, in perfetto stile festa popolar/mondana. Una mondanità alternativa, di sinistra sinistrata, ma pur sempre mondanità. E pure una paganizzazione (nel senso di Pagani, la cittadina dell’agro nocerino) del rito, una madonna schiavona insolentemente ridotta a “pavanese” madonna delle galline.[divider] C’è il cosiddetto universo LGBT, con in testa Vladimir Luxuria, scrittrice di storie femminili abilmente coniugante la presentazione della sua ultima fatica letteraria in una scuola di Avellino con l’evento (più o meno) religioso. L’onorevole Vladimir, che col crudele passar degli anni assomiglia sempre di più al Joey Tempest degli Europe (simpatica cattiveria uterina raccolta sul campo), si presenta di rosso imbacuccata e armata di una lettera diretta nientepopodimenoche al papa. Il papa ovviamente è papa Francesco (non l’altro), adorato anche da Luxuria e soci per via delle sue aperture al terzo sesso. Qui in verità di sessi ce ne sono più di tre, ma non si può mica stare a sottilizzare. L’onorevole dell’atollo dei famosi, provata dalla scalata in automobile (!), dice di rimpiangere la funicolare. E te credo, la funicolare Mercogliano-Montevergine in sette minuti cavalcava un dislivello di 734 metri e ti filava dritto per dritto al santuario, prima che sciagurate diseconomie aziendali ne costringessero la chiusura a tempo indeterminato. Magari Vladimir poteva ricordarsi di rimpiangerla quando era ancora in Parlamento…Ad ogni modo Vladimir è un tesoro del movimento LGBT, e come tale il movimento la custodisce in uno scrigno. E’ anche una donna (o trans, fate voi) istruita, e quando parla effettivamente fa guadagnare consensi alle sue compagne di lotta e dignità di presenza all’intero microcosmo ondeggiante. Che la fede dovrebbe essere un diritto di tutti (i sessi) è uno slogan facile, spiegarlo con parole semplici ma non banali non è esercizio per tutti. La pasionaria del Tavoliere ci riesce benissimo, a parole, e noi a parole glielo riconosciamo.[divider] Altro volto noto è quello di Marcello Colasurdo, lui sì autentico femminiello, storico suonatore di tammorra e voce muezzin della nenia a mamma schiavona. Poi ci sono altri personaggi influenti del movimento LGBT ma è inutile farne l’elenco, il successo della giornata sta al contrario nella presenza di tante facce non altisonanti; allora non possiamo fare a meno di constatare che il movimento, visto il seguito di simpatizzanti che riesce a portarsi dietro in ogni sua iniziativa, male non farebbe a pensare di trasformarsi in movimento (del tutto) politico. Adescare l’ingresso nelle istituzioni e, da dentro, legiferare la propria identità. E’ vero che l’italicum elettorale partorito da “Renzusconi” non agevola l’idea, ma tentare una sortita potrebbe rientrare in una strategia di più ampia portata.[divider]Nelle zone a valle di mamma schiavona, la novità di questo e degli ultimi anni consiste nell’azzardo di trasformare la candelora in seminario prolungato sull’umanità gay e lesbo, con la partecipazione di associazioni appassionate e studiosi competenti, e così trasformare la morigerata Avellino in uno sperimentale gay village del sud. Ad Avellino e alla sua fama di città democrista tutto ciò non può fare che bene. A condizione, compagne e compagni, che non ce ne usciamo con le piattaforme democratiche…
Se vuoi ascoltare l’articolo letto dalle nostre redattrici clicca qui